12 | Quaderni della Pergola passato abbiamo avuto certi esempi illustri di teatro che hanno fatto a meno degli spettatori, sperimentazioni anche molto importanti, ma il teatro di Eduardo De Filippo è caratterizzato da una necessità estrema e popolare, quasi animale. Non può fare a meno di incontrare le platee. Che Eduardo ha scoperto in questo studio ‘dietro le quinte’ delle sue opere? Ho scoperto un autore di cui avevo già intuito la grandezza e la profondità, emerso nelle sue pieghe più personali con la lettura del libro di Maria Procino Santarelli Eduardo dietro le quinte. Un capocomico-impresario attraverso cinquant’anni di storia, censura e sovvenzioni (1920-1970). Tommaso De Filippo (nipote di Eduardo e, quindi, figlio di Luca De Filippo) aveva molto amato il mio spettacolo sui Sonetti di Shakespeare e, siccome gestisce i diritti delle opere di Eduardo, mi ha chiamato per propormi un lavoro analogo a quello fatto su Shakespeare sulle poesie di Eduardo. Io ho preso un po’ di tempo, facendogli una controproposta: perché non concentrarsi su quegli scritti eduardiani che descrivono il suo rapporto con le istituzioni, proprio per agganciare il teatro alla realtà? Pensavo che nel periodo di crisi che stavamo vivendo forse erano mancate delle figure di riferimento, era la mente dei grandi del teatro a cui dovevamo rivolgerci. Rifugiarsi nelle parole dei grandi poeti, scrittori, filosofi, per cercare conforto, ispirazione o addirittura per trovare risposte al presente. Sapevo, grazie al libro che avevo letto molti anni prima, delle questioni burocratiche a cui Eduardo doveva continuamente rispondere: a trent’anni era già capocomico e doveva richiedere i soldi al Ministero come Compagnia del Teatro Umoristico. In una bellissima lettera il fratello Peppino scrive al Ministero per sostenerlo: “Mio fratello è un autore nazionale, non dialettale, il più grande autore dopo Pirandello”. Progredendo nel lavoro su questo autore è venuto fuori il ritratto di un artista non solo legato alla bellezza delle sue opere. Una scoperta incredibile è stata leggere di un Eduardo De Filippo fallimentare, dal temperamento donchisciottesco, ma sempre coraggioso: la chiusura del suo teatro, il San Ferdinando, è un momento tragico. Studiando anche tanto gli archivi ho conosciuto una figura veramente unica del Novecento: Eduardo ha attraversato un secolo complesso, si è fatto due guerre, ha vissuto il boom economico e il periodo delle contestazioni, ha visto Napoli cambiare ed è rimasto lucido fino alla fine, dando sempre il meglio di sé e non risparmiandosi mai. È anche un uomo che ha sofferto molto: dal ’60 al ’63 perde il San Ferdinando, gli muore una figlia di 7 anni, sua sorella Titina e anche la moglie. Dopo la raccolta della Cantata dei giorni pari, che riguarda tutte le opere prima della guerra, e la Cantata dei giorni dispari con le commedie scritte dopo la guerra, è come se da quegli anni nella sua biografia si innestasse una Terza Cantata non tanto legata alla scrittura, ma proprio umana e attoriale. “Non dimentico mai che il teatro è soprattutto il risultato di un lavoro sulla memoria, accogliendo gli spiriti delle persone che non ci sono più ma senti che ti sostengono quando vai in scena” Lo spettacolo Tavola tavola, chiodo chiodo... (produzione Elledieffe e Teatro di Napoli, ospitata nella scorsa stagione del Teatro di Rifredi) è andato in scena agli Chantiers d’Europe 2023 a Parigi grazie alla collaborazione tra Teatro della Toscana e Théâtre de la Ville
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