Quaderni della Pergola - Dove eravamo rimasti - Fondazione Teatro della Toscana

23 Quaderni della Pergola | quando si scaglia contro la fatuità e l’ipocrisia, ma non possiamo accettare completamente la sua figura, anche se empatizziamo con le sue debolezze. Jacques Copeau ha scritto che la grandezza del Misantropo sta nell’essenzialità delle relazioni tra i vari personaggi: è la commedia dell’impossibilità di esprimersi liberamente quando si è preda delle passioni. Quindi non è stato un salto drammaturgico enorme passare da un personaggio all’altro? No, perché prima di tutto, per Don Giovanni, c’è un precedente molieriano molto diretto. Nello stesso libretto di Da Ponte se ne avvertono gli echi; più o meno si tratta della stessa materia e, in particolare, anche se è la prima volta che nella mia carriera incontro Alceste ho comunque una lunga schiera di personaggi molieriani alle spalle, sia come regista che come interprete. Il labirinto di passioni, emozioni e disastri personali che Molière esplora nelle sue opere sento di averlo già parzialmente mappato dentro di me. Lei è attore-baritono-regista: protagonista del Misantropo per la regia di Andrée Ruth Shammah, recentemente ha curato la regia de Le memorie di Ivan Karamazov con Umberto Orsini ed è stato diretto più volte da Riccardo Muti esibendosi come cantante lirico sui palcoscenici più famosi al mondo. Ma ‘leggenda’ dice che in precedenza fosse impegnato solo nella prosa e che non abbia mai cantato prima dei trent’anni… Prima avevo cantato come può farlo un attore e ho preso parte a tanti spettacoli musicali: uno su tutti, il dramma di Brecht La resistibile ascesa di Arturo Ui con la regia di Claudio Longhi. A 25 anni ho debuttato come cantante in quello spettacolo di prosa, in cui si prevedeva almeno un’ora di parte musicale; è vero, però, che non ho mai cantato l’opera prima dei trent’anni. Il mio caso è sempre stato diverso: io ho fatto fin da subito l’attore e quasi immediatamente anche il regista, prima dei vent’anni già firmavo diversi spettacoli. Facevo la gavetta e ‘tritavo spettacoli’, li mettevo in fila uno dietro l’altro perché ho una storia che proviene da una Compagnia un po’ speciale, con una tradizione plurisecolare: sono erede di artisti girovaghi che sapevano fare di tutto. La mia famiglia, i Micheletti-Zampieri, con la Compagnia I Guitti, fondata da mio padre, affonda le proprie radici nel teatro popolare di fine Ottocento. Le origini risalgono al teatro nomade del Carro dei Tespi, di sapore circense: un teatro quasi zingaresco, che andava di piazza in piazza. Anche se a me non è capitato più di viverlo nella sua forma originale, per quattro generazioni la mia famiglia non ha interrotto questo percorso. Diciamo che i mestieri del teatro li ho partecipati quasi tutti, e tutti di petto: sono un ‘cuciniere’ di drammaturgie e ho fatto anche il tecnico. Il teatro è artigianato, che ti obbliga a stare sempre con i piedi per terra e a non dimenticare quel bagaglio di usi e costumi: bisogna imparare le leggi di scena. “Fin da piccolissimo ho dovuto fare i conti con il fatto che il teatro, per me, non era come lo vedevano gli altri bambini: non era soltanto il paese dei balocchi, c’è sempre stata una grande disciplina”

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