Quaderni della Pergola - Dove eravamo rimasti - Fondazione Teatro della Toscana

24 | Quaderni della Pergola È importante per Lei tramandare il teatro alle nuove generazioni? Molto, infatti dopo anni di didattica ho dato avvio ad un progetto pluriennale: il Belfort Theatre Campus. Ogni estate tengo un seminario intensivo con giovani attori, in un’area geologica bellissima dell’alta Lombardia; sono due settimane di lavoro intenso e molto partecipato, in cui i ragazzi non pagano una quota ma vengono spesati di tutto: lo scambio tra noi è continuamente stimolante. Il teatro è parte integrante dell’individuo e della sua coscienza di essere umano, che si specchia nella modernità. Sono già passati una sessantina di giovani attori da lì, alcuni si sono affezionati talmente all’idea e così quest’anno nascerà la Belfort Theatre Company. Questo è un mio piccolo angolo di confronto, e non solo sul teatro, a cui non rinuncio. Grazie alla lirica è abituato a incontrare le platee di tutto il mondo: gli spettatori, dopo la forte esperienza della chiusura per il Covid, sono cambiati? Il periodo del Covid è stato doloroso, sia a livello umano che a livello professionale, per molti di noi. È un passaggio che ha creato una cicatrice nelle nostre coscienze. L’arte se ne farà carico nei prossimi anni, così come la vita sociale… Ma non credo che ciò abbia cambiato il modo di proporre uno spettacolo o di fruirlo: le tracce che ha lasciato sono più profonde e influenzeranno in maniera ipodermica il nostro modo di pensare e la nostra esistenza in futuro. Comunque, prosa e lirica hanno pubblici diversi: lo spettatore d’opera va a teatro aspettandosi di trovare esattamente ciò che cercava, e anzi, se non è così comincia a scollarsi dallo spettacolo; lo spettatore teatrale è forse l’esatto opposto: vuole farsi stupire, non sa quello che va a vedere o se ritrova la sua visione troppo uguale a ciò che si aspettava non si diverte. Nel mondo il pubblico cambia in base a come si differenziano gli usi e i costumi nei vari Paesi. Una cosa buffa, per esempio, che ho scoperto in Australia – e che succede in tutto il mondo anglosassone – è che ai protagonisti ‘cattivi’, quando sono particolarmente piaciuti, il pubblico grida: “BUU!”. Sei stato talmente convincente nel ruolo del cattivo che il pubblico confonde l’interprete con il personaggio, e ti gratifica urlando così… Addirittura a tutti gli artisti forestieri hanno distribuito una sorta di vademecum, perché non rimanessero male qualora capitasse una cosa del genere e si potessero, invece, divertire insieme agli spettatori. Lo spettacolo a diverse latitudini ha differenti modi di essere accolto, anche se rimane vero un fatto: la musica e il teatro sono dei ponti, legano le più diverse culture. Fin da piccolo, dunque, sapeva che sarebbe stato sempre su un palcoscenico? No, non è che ne avessi la coscienza, mi sembrava semplicemente un fatto normale: anche i miei quattro fratelli sono stati spinti sulla strada del palcoscenico, poi soltanto uno di loro è rimasto attore. Fin da piccolissimo ho dovuto fare i conti con il fatto che il teatro, per me, non era come lo vedevano gli altri bambini: non era soltanto il paese dei balocchi, c’è sempre stata una grande disciplina. Non mi è stato mai consentito di viverlo solo come un gioco: è un mestiere, che “Il teatro è parte integrante dell’individuo e della sua coscienza di essere umano, che si specchia nella modernità”

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