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Attraversata dalla storia. Intervista a Cristiana Capotondi

29 gennaio 2025

di Angela Consagra

C'era una volta… Così è l’inizio di ogni favola: è con lo stesso impatto emotivo che ha affrontato il racconto sulla scena? 

Certamente questo incipit, C'era una volta, rappresenta un registro interpretativo perfetto per lo spettacolo: La Vittoria è la balia dei vinti è un racconto dedicato a una bimba di 6 anni. Lei chiede una favola a sua mamma per addormentarsi, ed è così che poi va avanti la storia e prendono vita i vari personaggi. Il registro utilizzato è quello tipico della rappresentazione fiabesca, ma allo stesso tempo è anche molto realistico perché si tratta di una storia vera. Questo monologo nasce da dei racconti che erano stati fatti al nostro regista e autore, l’attore Marco Bonini: una nobildonna fiorentina che, durante la Seconda guerra mondiale, si ritrova ad allattare i figli della sua balia. La storia si dipana, quindi, in un crash di differenze sociali che ad un certo punto si annullano: le persone nascoste dentro il rifugio organizzato nelle cantine di Palazzo Pitti per scappare dagli orrori della guerra finiscono per guardarsi come persone, appunto, con uguaglianza. Ed è un po’ quello che è accaduto non solo in Italia, ma credo proprio nel mondo intero durante la Seconda guerra mondiale: il carattere estremo e la straordinarietà dei tempi di guerra riescono a rompere le consuetudini sociali. La protagonista di questo spettacolo ne esce completamente trasformata: da monarchica voterà al referendum, invece, per la costituzione della Repubblica. Si racconta, anche, di quell’importante momento in cui le donne per la prima volta hanno avuto il diritto di voto in Italia: La Vittoria è la balia dei vinti è un monologo profondamente emotivo, ma caratterizzato dal tono leggero delle fiabe. Non si tratta di una storia qualunque: sono i ricordi di famiglia ad emergere via via durante il racconto e il carico emotivo diventa sempre più forte. La bimba viene portata per mano nel passato dalle parole della mamma, che diventa tutti i vari personaggi, con le differenti voci che si alternano e danno vita alla nostra storia. Alla fine dello spettacolo spesso alcuni spettatori si fermano per raccontarci le loro storie, i segreti di famiglia che risalgono a quel periodo storico del Ventennio: sono incontri preziosi perché creano una sorta di racconto collettivo, legato a una fase storica che ancora non smette, in qualche modo, di condizionarci. Ciò che mi lega fortemente al personaggio di Vittoria è la sua piccola ma rivoluzionaria funzione sociale: lei si è fatta attraversare dalla Storia e ha sperimentato il suo personale cambiamento.

“La storia particolare si sofferma sulla vita delle persone semplici che subiscono le scelte dei grandi della Storia: i due livelli narrativi si mischiano”

 

In che modo il registro fiabesco e il lato legato alla Storia, quella con la Esse maiuscola, si intrecciano?

È uno degli aspetti più belli di questo spettacolo: la Storia grande, quella degli avvenimenti che scrivono un’epoca, viene seguita fino nelle più minime e dirette conseguenze. La storia particolare si sofferma sulla vita delle persone semplici che subiscono le scelte dei grandi della Storia: i due livelli narrativi si mischiano. Affrontiamo la vicenda di una trasformazione femminile rispetto alla propria ideologia: si tratta di un racconto dalla grande umanità. 

 

Tra le tante donne a cui ha dato vita sullo schermo, anche molto diverse tra loro, che cosa le regala in particolare questa interpretazione?

Per me rappresenta una sfida. Intorno alla centralità del racconto ruotano differenti caratteri: due donne, due uomini e altri piccoli personaggi… Mi ha entusiasmato l’idea di portarli tutti in scena attraverso un monologo. Le due donne protagoniste, la nobildonna e la balia, sono così diverse tra loro: allo scoppio di questo bombardamento si fronteggiano con due lontani punti di vista. 

Marco Bonini è riuscito a costruire questo delizioso gioiello drammaturgico, che mi ha fatto venire voglia di sperimentare il teatro. Prima non avevo mai affrontato il palcoscenico, sera per sera: ne ero estremamente affascinata, ma ancora di più spaventata e intimorita. Però, Marco mi ha accompagnato verso il teatro in maniera semplice e naturale: piano piano ha aggiunto in scena cose da fare, canzoni e nuovi accenti. Sono felice dello spettacolo fatto insieme e gli sono particolarmente grata, dopo tanto cinema, per avermi seguito in questo debutto teatrale.

 

Teatro e cinema: la preparazione alla scena viene vissuta diversamente? 

Quello che ho imparato, rispetto a questa esperienza teatrale, è che quando si va in scena lo spettacolo è come se ripartisse ogni volta da zero. La rappresentazione dipende da tanti fattori tra cui, per esempio, i condizionamenti personali: sono i pensieri che tentiamo di tenere fuori dal palco quando si entra in scena, ma che albergano in una parte della nostra mente mentre scorre il racconto. Comunque, molto dipende dal pubblico e dal modo in cui risponde allo spettacolo, da ciò che trasmette agli attori: il teatro è una sinergia. È vero che uno spettacolo viene preparato con attenzione, si fanno delle lunghe prove, ma alla fine è veramente qualcosa che accade lì, in quel preciso istante. Ti rendi conto che il teatro è dell’attore, perché per quanto il regista possa sostenerti nella fase della messa in scena, poi sul palcoscenico sei totalmente libero e la storia la costruisci in autonomia: sei tu che prendi il pubblico per mano e lo porti dentro al racconto. Questa è la maggiore differenza che noto con il cinema che, invece, è soggetto continuamente al volere del regista e alle esigenze tecniche.

 

L'applauso finale, che tipo di emozione è? 

Un momento di grandissima soddisfazione. Di scarico di energie e di rilassamento. Ma anche di comprensione: scopri come lo spettacolo è stato percepito dagli spettatori… Sul palcoscenico arriva l’abbraccio del pubblico. E il pubblico è proprio questo: un elemento necessario perché uno spettacolo possa definirsi tale.