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Il bene e il male. Intervista ad Alessandro Preziosi

02 dicembre 2024

di Angela Consagra

Il titolo dello spettacolo, Aspettando Re Lear, richiama per assonanza, in qualche modo, il beckettiano Aspettando Godot. Perché questa scelta?

Il mondo di Beckett, e più nello specifico di Aspettando Godot, include al suo interno un certo tipo di istruzioni esistenziali legate alla speranza, ma l’attesa a cui si fa riferimento in quel titolo è di tipo laico, non legata a Dio. Quello che invece è il comune denominatore di tutte le tragedie shakesperiane appare all’opposto: sono testi privi di speranza, soprattutto nel caso di Re Lear, in cui la tragedia si compie attraverso l’uccisione di quasi tutti i protagonisti. La speranza di quest’opera risiede più nella sfera politica che umana: è la morte dei sentimenti ad essere rappresentata, la mancanza di limiti alla crudeltà e la negazione della possibilità di salvarsi da un ineluttabile rapporto padre-figli. La nostra messinscena, invece, accoglie il lavoro e la trasformazione del testo originario di Shakespeare elaborata da Tommaso Mattei, attraverso proprio l’assonanza con l’opera di Aspettando Godot. Anche in Aspettando Re Lear si ritrova una speranza, arrivando a concentrare la storia del rapporto padre-figli in un loro riconoscimento reciproco.

 

Ma forse la speranza può risiedere nell’essenza stessa del teatro, nella poesia e nella bellezza dell’arte?

Questa è la grande illusione della letteratura… Il teatro, in sé e per sé, è intrattenimento, è una bugia detta con la massima sincerità. Sono gli aforismi esistenziali (come L’arte salverà il mondo), dei piccoli condensati di saggezza, a sottolineare certe verità ma non contengono di per sé la soluzione ai nostri problemi. Piuttosto, sono i macrotemi reali che vengono affrontati nel corso dei secoli, come, per esempio, ai tempi di Shakespeare o Dante, a costruire la cultura. Il teatro e l’arte deificano e salvano nella misura in cui ti rendono libero di comprendere, dandoti quegli strumenti necessari alla conoscenza delle cose. In questo senso, sì, è vero che l’arte può essere salvifica, ma diventa essenziale imparare ad apprenderla e approfondirla. In particolare, in questo spettacolo sono presenti delle opere in scena di Pistoletto: l’arte che si fonde con il teatro.

“Shakespeare ci insegna che non bisogna mai smettere di analizzare profondamente il nostro lato oscuro, perché è quella l’origine dell’uomo”

Alessandro Preziosi

 

 

Non è la prima volta che affronta Shakespeare: l’interpretazione di Re Lear aggiunge qualcosa in più alla sua visione e comprensione di questo autore?

Mi ha confermato un fatto: cerchiamo di professare il bene ma, come dice Lear stesso, a volte cercando il meglio si rovina il bene. In Shakespeare si indaga l’essere umano nella sua complessità, perché l’uomo tende a non esaurire mai, al di là della bontà, la sua parte più cattiva. E Shakespeare ci insegna che non bisogna mai smettere di analizzare profondamente il nostro lato oscuro, perché è quella l’origine dell’uomo: la storia tra Caino e Abele, questo concetto di dualità che è alla nascita del mondo. Fondamentalmente l’uomo vuole tutto per sé. Anche delle figure femminili come le protagoniste shakesperiane – Desdemona, Cordelia, Ofelia – che sembrano donne così ingenue, perfino loro si relazionano con gli uomini arrivando a capirne il desiderio incolmabile. I personaggi stimolano continui percorsi verso il buio, solo che questa oscurità è ambigua. In Re Lear lo spettatore tende a credere che tra Lear e Cordelia sia lei la vittima, ma siamo veramente sicuri che sia così? Che non sia Cordelia che vuole sfidare il padre? Non è che assomiglia così tanto al padre, da volergli tenere testa? È l’aspetto che più mi affascina di questo spettacolo: la definizione di bene e male, due concetti che vivono in un vetro che non è più trasparente: è come se si rispecchiassero in un vetro argentato, quindi in grado di riflettere immagini deformi.

Lo spettacolo è anche una riflessione sul ruolo del potere, sul tema della follia. È anche in questo senso che può parlare al pubblico contemporaneo?

Bisogna affrontare serenamente l'idea dell'autorità. Quello che viene messo in gioco non è il potere, ma il concetto della patria potestà. Il potere proviene sempre da una serie di circostanze concrete o di tipo politico, mentre l’autorità paterna è frutto di un elemento ben più eterno: l’atto del generare. Si tratta di una forma di potere ingestibile: è la nozione biblica dell’alterità; io genero qualcosa che è altro da me, ma che allo stesso tempo voglio che sia un mio prolungamento. In questa storia il potere del padre viene meno nel momento in cui viene divisa la Corona.

 

E dal punto di vista della regia, qual è l’elemento predominante da cui è partito? Il rapporto con gli attori, l’architettura dello spazio…

Sicuramente io parto dalla visione dello spazio. In questo caso particolare, l’interazione tra i vari luoghi scenici è fondamentale: da spazi molto moderni alla bidimensionalità dello specchio, al letto come luogo che evoca il mondo della Corona o alla zona da pranzo come rifugio. La polifunzionalità delle opere di Pistoletto ha dato l’avvio all’idea scenica, poi chiaramente i rapporti stanno tutti nell’essenza del teatro. Per quanto riguarda l’apporto di Pistoletto è fonte per me di una forte emozione: noi ci siamo affidati alle sue intuizioni, anche abiti e musiche sono stati ispirati da lui, utilizzando materiali riciclabili e pensando al rapporto dell’artista con la natura, ribadito attraverso degli elementi che ritornano alla terra. L’incontro con Pistoletto è frutto di una casualità: in quel periodo stavo scrivendo l’adattamento del Re Lear e sono andato a vedere la sua mostra al Chiostro del Bramante. Al secondo piano mi sono imbattuto nel suo labirinto di cartone. Quella era l’idea giusta per raccontare la tempesta di Lear, un labirinto concettuale, lo smarrimento della vita morale. Secondo Pistoletto l’oggetto è un’idea di cui ci si libera facilmente per far posto ad altre idee, per farla vivere in maniera imprevedibile. E in fondo così è anche il teatro, che celebra la vita in tutte le sue possibili potenzialità.