Il coraggio dei sogni. Intervista a Edoardo Sylos Labini
03 ottobre 2024
di Angela Consagra
Come nasce il titolo - Inimitabili - di questo progetto destinato alla scena e dedicato a tre importanti personaggi come Giuseppe Mazzini, Gabriele D’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti?
Prende spunto da una famosa frase di Gabriele D’Annunzio: “Il mio vivere è inimitabile”. Sono uomini con un percorso biografico inimitabile. Nessuno, come loro, ha lasciato un segno così fondamentale nella cultura, nella storia e nella politica italiana e anche straniera. Questi tre personaggi hanno un respiro europeo e internazionale, in primis dal punto di vista culturale. Mazzini, che ha fatto della sua cifra politica una grande battaglia esistenziale e che forse appare come il meno artista dei tre, in realtà era anche un musicista. Lui affermava un’idea: in quell’Italia vissuta fondamentalmente ancora da gente che non aveva potuto studiare – stiamo parlando dell’Italia dell’Ottocento – la musica era in grado di diventare un collante formidabile per tutti, volto a creare un senso di Patria. Siamo nell’era del Melodramma, con protagonisti del calibro di Donizetti, Rossini o Verdi, che diventa la colonna sonora del Risorgimento. Mameli, per esempio, muore quasi tra le braccia di Mazzini.
“Raccontare la Storia a ritmo di musica: questo è Inimitabili”
Edoardo Sylos Labini
Qual è, dunque, il filo che lega proprio questi tre personaggi?
Il timbro di italianità. E, più in particolare, il timbro della cultura italiana portata a livello internazionale. Questo progetto nasce in teatro (avevo già dedicato più spettacoli per ognuna di queste figure), per poi diventare una trasmissione televisiva prodotta da Rai Cultura, Inimitabili appunto, che è andata in onda su Rai3. Adesso si torna sul palcoscenico teatrale. I linguaggi della Tv e del teatro sono molto diversi e Inimitabili teatralmente sarà un nuovo esperimento. Racconto Mazzini, D’Annunzio e Marinetti con un taglio giornalistico, un narratore e divulgatore che spiega la storia e ne interpreta le parole: pensiero e azione. Non mi trasformo fisicamente nei loro caratteri, piuttosto si tratta di un racconto storico teatralizzato e accompagnato dalla musica, che è una mia cifra stilistica. Ogni singola parola pronunciata in scena appartiene davvero a questi personaggi, non c’è nessuna licenza poetica. Raccontare la Storia a ritmo di musica: questo è Inimitabili.
Proporre questo spettacolo in tournée, in diversi luoghi del nostro Paese, rappresenta una sfida?
La sfida è riuscire a dimostrare come la nostra storia, la nostra cultura e la nostra identità possano essere pop: anzi, che debbano esserlo. È necessario conoscere quei personaggi che hanno creato l’immaginario nazionale in cui viviamo. Sono delle figure storiche che possono piacere oppure no, ma che sicuramente hanno contribuito a fare l’Italia, sia culturalmente che politicamente. Il carattere pop è una chiave giusta per il racconto, ma anche per le esigenze di allestimento, realizzato da Marco Lodola, uno degli artisti contemporanei più conosciuti in Italia. La messinscena, bellissima, viene impreziosita da tre luminose, una per ciascun personaggio.
Dal pubblico che cosa si aspetta? Che tipo di emozione pensa che possa arrivare alla platea?
Credo che scoprirà degli aspetti inediti riguardo a questi uomini così illustri, ma che hanno anche sempre subito una sorta di pregiudizio nei loro confronti. Mazzini – in pochi lo sanno – ha addirittura partecipato alla fondazione della Prima Internazionale, anche se in seguito arriverà allo scontro con Marx, dato che la sua personale visione sarà diversa da quella della Rivoluzione marxista-comunista. Io racconto il suo modo di vivere, di chi aveva finanziato questo patriota genovese nella sua esistenza da esule in giro per l’Europa… Marinetti è stato l’autore di una memorabile rivoluzione artistica: il Futurismo ha aperto le porte alle avanguardie del Novecento. Se Pirandello nella sua opera rompe la quarta parete è perché, in precedenza, durante le serate futuriste gli attori erano già scesi a litigare e a recitare in platea, rendendo gli spettatori protagonisti. I futuristi sono stati rivoluzionari in tutto: nel teatro; nella musica (un ambito in cui inventano gli intonarumori che riproducevano suoni come i gorgogli o il sibilo, da cui nasce la musica elettronica); nel cibo (sono loro a inventare il concetto di impiattamento e di finger food) e nella letteratura, dove Marinetti scardina la punteggiatura. D’Annunzio si può definire un poeta, un amatore e un soldato. È lui a fare diventare la politica un’opera d’arte. il suo legame con Firenze è importante per il rapporto con Eleonora Duse, ma ha anche interpretato una pagina incredibile della nostra storia: l’impresa di Fiume, che D’Annunzio trasforma in città di vita e città di arte. È stato il primo grande comunicatore, colui che inventa il marketing culturale: utilizza il gossip per vendere i suoi libri. Già a sedici anni si finge morto e pubblica su un giornale locale un suo finto necrologio: “È morto il giovane poeta D’Annunzio, che ha appena scritto la raccolta di poesie Primo Vere”.
La parola coraggio: è questo il sentimento che accomuna tutti e tre i personaggi?
Sì, perché sono uomini geniali, controcorrente e rivoluzionari. Io racconto semplicemente la loro storia. Spesso le loro aspettative non si sono attuate, sono stati delusi dal corso degli eventi della Storia. Marinetti e D’Annunzio cercarono in ogni modo di convincere Mussolini a non allearsi con Hitler, si scagliarono contro le leggi razziali. Mazzini voleva un’Italia repubblicana, non accettò mai i Savoia: l’Italia nata sotto una monarchia. Morì in esilio, senza vedere mai l’Italia nata nel 1946 dopo il referendum. Sono tre sognatori, hanno vissuto un’utopia. I loro sogni si sono realizzati, in modo diverso da come si aspettavano, nei decenni.
“La sfida è riuscire a dimostrare come la nostra storia, la nostra cultura e la nostra identità possano essere pop: anzi, che debbano esserlo. È necessario conoscere quei personaggi che hanno creato l’immaginario nazionale in cui viviamo”
Edoardo Sylos Labini
Il Teatro: che cos’è per Lei? Una sua definizione.
Per me il Teatro è la vita: la mia vita è un palcoscenico. Ho deciso di fare l’attore a vent’anni, piuttosto tardi… Ero ‘una testa calda’, ma ho scoperto il teatro, che è un ponte capace di catapultarci in una dimensione diversa, in altro da noi. E sul palcoscenico è come se ritrovassi me stesso. Il teatro mi ha insegnato anche la disciplina e il rigore: è qualcosa di fortemente educativo. Per venticinque anni sono stato esclusivamente attore, mentre negli ultimi dieci anni ho intrapreso un ulteriore percorso: la redazione di un giornale, CulturaIdentità, i progetti culturali e i Festival che organizzo. Ma, alla fine, ritorno sempre verso il palcoscenico: non ne posso fare a meno.