Il passo della vita. Intervista a Peppe Servillo
05 febbraio 2025
di Angela Consagra
Come nasce lo spettacolo Fútbol?
Da diverso tempo propongo, insieme a Cristiano Califano, uno spettacolo sul tema del calcio dal titolo Il resto della settimana che è tratto dal libro di Maurizio De Giovanni, in cui si racconta del tempo trascorso in un piccolo bar dei Quartieri Spagnoli a Napoli prima e dopo l’appuntamento con la partita. Invece, in Fútbol io racconto le novelle di Osvaldo Soriano ed è uno spettacolo nato in questa stagione, al Teatro Girolamo di Milano. In realtà, Fútbol in origine è stato un disco, pubblicato qualche anno fa, ispirato dalla scrittura di Soriano, realizzato con Javier Girotto e Natalio Mangalavite. E infatti, nello spettacolo eseguo anche alcune canzoni che appartengono a quell’album, ma focalizzando tutto sulle novelle di Soriano. Il calcio di cui racconta Soriano fa riferimento agli anni Sessanta, è uno sport che si giocava sui campi di periferia di questa vastissima nazione latino-americana: dall’Argentina i giocatori andavano in trasferta anche in Patagonia, per esempio; si tratta della descrizione di una realtà fatta di emigrati dai Paesi europei: spagnoli o italiani, che animavano con la loro presenza e il loro lavoro la vita di questi piccoli centri del Sud del mondo. Maurizio De Giovanni e Osvaldo Soriano, se pur diversi nel modo di esprimersi, mantengono un elemento comune in rapporto al calcio: vivono la medesima grande passione. Soriano ha una tale finezza poetica e un’ironia: è capace di farci guardare questa dimensione sociale con enorme tenerezza e con una lente emotiva rivolta al passato. Il mondo del calcio va insieme alla società e, dunque, si trasforma costantemente. Anche nelle regole che lo contraddistinguono: nel caso di Soriano parliamo di un calcio dove non esistevano i cartellini di ammonizione o di espulsione, non c’erano le sostituzioni durante le partite. Uno sport in cui, probabilmente, non era richiesta la stessa prestanza atletica di oggi. Soprattutto nelle squadre della serie minore la commistione tra lo sportivo e la quotidianità della vita era estremamente forte. Il calcio è uno sport che amo molto e che, senza retorica e banalità, trovo sia una metafora autentica della nostra esistenza. Il calcio è una piccola guerra svolta senza armi, che ha il passo della vita, anche nei momenti di noia. Il calcio è una battaglia che si accende improvvisamente: momenti epici, entusiasmi, delusioni, tragedia, comicità… Un magnifico gioco di squadra, in cui si recita il noi, piuttosto che l’io. C’è il senso del sacrificio e dell’altruismo, ed è estremamente formativo: il conseguimento del risultato non prescinde mai dall’impegno.
“Il calcio è una battaglia che si accende improvvisamente: momenti epici, entusiasmi, delusioni, tragedia, comicità… Un magnifico gioco di squadra, in cui si recita il noi, piuttosto che l’io”
Nel calcio spesso si ribaltano i pronostici e si prendono delle rivincite tra le varie squadre appartenenti a culture e luoghi geografici diversi: sono vittorie o sconfitte metaforiche, al di là del calcio stesso.
Sì, ed è una cosa che accomuna, per esempio, il calcio sudamericano e napoletano. Nel calcio i tifosi leggono una possibilità di riscatto, un sogno che è possibile realizzare ma che, inevitabilmente, diventa poi un’illusione. La vera bellezza del calcio risiede nella sua democraticità: è uno sport che tutti possono praticare, senza acquisti costosi o luoghi specifici in cui allenarsi. Basta un pallone e dei compagni con cui giocare o allenarsi. Allo stadio persone di estrazione sociale totalmente diversa partecipano e tifano insieme per lo stesso obiettivo: è un momento in cui certe barriere inevitabilmente cadono. E in cui forse possono nascere anche delle relazioni di amicizia inaspettate, che continuano, a partire dalla passione per il calcio.
Si può parlare di una drammaturgia dello sport?
Teatro e calcio hanno delle similitudini. Spesso un calciatore si pone in campo proprio come un attore sulla scena, che deve controllare la propria emotività, rapportandosi con gli altri compagni di squadra e con il pubblico. Teatro e calcio, per esempio, vivono la dimensione dell’improvvisazione. Occorre adattare la propria inventiva alla situazione che ci si trova di fronte, e questa è una caratteristica straordinaria. La scrittura di ciò che necessita questo sport viene fatta lì per lì, nel momento in cui viene eseguita l’azione, proprio come avviene nell’improvvisazione jazzistica che accade sempre all’interno di un perimetro, sia esso ritmico o armonico, e così via... Nel calcio la scrittura, quindi la teoria, è coltivata per una settimana intera ma, in seguito, va messa in pratica sul campo con un’iniziativa personale che riguarda la sfera dell’improvvisazione e dell’avversario da fronteggiare. È l’avversario a determinare la qualità del gioco che si riesce a praticare.
La conflittualità, che è parte della natura umana – essendo il calcio un gioco estremante antico – viene ricomposta, formalizzata e ritualizzata durante il gioco, conservando in sé il meglio del lato della competizione. Ciò alimenta la dimensione dello scontro in una chiave epica, che risulta davvero affascinante e spettacolare. Il richiamo alle regole è sempre forte e, infatti, il ricordo di calciatori che hanno interpretato al massimo livello questo spirito quasi cavalleresco è indelebile. Uno per tutti: Gaetano Scirea, ma gli esempi sono tantissimi. C’è una battuta meravigliosa nel primo film di Paolo Sorrentino, L’uomo in più, in cui il dirigente di una squadra di calcio licenzia un allenatore dicendogli: “Il calcio è un gioco, Lei è una persona fondamentalmente triste”. La qualità delle relazioni umane entra in gioco nella dimensione di ogni partita.
Da interprete sulla scena, che cos’è per Lei il pubblico? Una sua definizione.
È come se tutto il pubblico fosse un singolo spettatore, con il quale entro in relazione, occhi negli occhi, per raccontare delle storie. Un suggerimento che proviene da Battisti. Quando parlava del rapporto con il pubblico, lui diceva: “Io canto le canzoni come se mi rivolgessi a una persona sola”. Una tecnica per unirsi al pubblico, che spiega bene questo mestiere.