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La Buona Novella di Fabrizio de André

20 febbraio 2024

“Non per un Dio, ma nemmeno per gioco…”

di Davide Diamanti, con la partecipazione di Rossella Bellenda e Noemi Bisceglia 

 

In occasione dello spettacolo La Buona Novella con Neri Marcorè

Fabrizio de André nel 1970 pubblica un nuovo concept album: La Buona Novella. Il cantautore genovese era uscito due anni prima con il suo Volume 3, dove famose prostitute come Marinella, soldati incapaci di uccidere come Piero e contadini meno conosciuti ai quali veniva sottratto tutto da un re al quale bastava far rullare i tamburi, danzavano, tra un gorilla che perde la verginità e un Michè che si uccide per amore, sulla canzonetta brasseniana francese.

 

Ed ecco che nel 1970 appare un disco che parla di Cristo. Una stranezza per colui che iniziava a essere riconosciuto come “cantautore” e che ancora non si era schierato politicamente in un’epoca che lo esigeva (bisognerà aspettare il 1973 e l’album Storia di un impiegato per rispondere a questa esigenza).

 

Il pubblico sussulta. Non è convinto di questa operazione e critica il disco ancor prima di ascoltarlo. Unica nota curiosa, l’autore si è ispirato ai vangeli apocrifi. Prima di procedere con quello che è indubbiamente uno dei dischi migliori di de André, sia dal punto di vista testuale che da quello musicale, è necessario sapere che cosa sono queste fonti.

 

Tutti noi conosciamo, per cultura o per popolarità, i quattro evangelisti: Matteo, Luca, Marco e Giovanni. Ma sono stati gli unici? No. I vangeli apocrifi sono tutte quelle scritture che sono state tenute nascoste, escluse dalla dottrina ecclesiastica. Ed è lì che Fabrizio de André va ad attingere per la sua nuova idea. Attraverso la lettura di questi, legge umanità, semplicità, compassione. Gesù perde ogni valenza divina/cristiana, rimane un uomo. Il più grande anarchico della storia. 

La Buona Novella è composta da dieci brani:

 

  1. Laudate Dominum
  2. L’infanzia di Maria
  3. Il ritorno di Giuseppe
  4. Il sogno di Maria
  5. Ave Maria
  6. Maria nella bottega di un falegname
  7. Via della Croce
  8. Tre madri
  9. Il testamento di Tito
  10. Laudate hominem

 

La figura di Gesù Cristo, centrale in tutti i Vangeli, è vista qui solo durante la Passione. Non c'è traccia, nell'album, dell'infanzia, della predicazione e dei miracoli: dal momento della nascita si passa direttamente a quello della Passione. Ma di Gesù si avverte sempre la presenza.

 

È necessario ascoltare questo disco quasi come se fosse un romanzo.

 

In apertura, ascoltiamo pochi secondi di un coro liturgico di donne e uomini, Laudate Dominum, a dar quasi l'impressione che si tratti di una canto da chiesa.

 

E poi L’infanzia di Maria, la prima vera stravolgente canzone dell’album. Qui non è intesa come Madonna o come madre di Cristo. È semplicemente una bambina che, sin dall’età di tre anni, serve al tempio e viene educata dai sacerdoti. E sono proprio loro ad accorgersi dell’inizio del ciclo mestruale all’età di dodici anni, e decidono che deve abbandonare il tempio (secondo le antiche credenze, lo avrebbe contaminato).

 

«E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio

Avevi dodici anni e nessuna colpa addosso

Ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio

La tua verginità che si tingeva di rosso.»

 

Cito dal Protovangelo di Giacomo: «ma ecco che l'angelo del Signore gli apparve, dicendogli: “Zaccaria, Zaccaria, esci e chiama a raccolta i vedovi del popolo; ciascuno di essi porti un bastone, e di colui al quale il Signore darà indicazione con un segno miracoloso, essa sarà la sposa”». La scelta ricade su un vecchio falegname, Giuseppe, il quale ha “dita troppo secche per chiudersi su una rosa” e “un cuore troppo vecchio che ormai si riposa”.

 

Ma questo è un dovere, un obbligo al quale non si può opporre. È il volere di Dio.

 

Secondo l'ordine ricevuto, Giuseppe porta la bambina nella propria casa e subito se ne parte per dei lavori che lo attendono fuori dalla Giudea. Rimane lontano quattro anni.

 

Al suo ritorno (Il ritorno di Giuseppe), Maria è incinta, e racconta al marito il sogno che ha fatto, dove un angelo la porta a vedere il “colore del vento”, e le confida che darà alla luce un bambino di nome Gesù (Il sogno di Maria).

 

La canzone Ave Maria, non è solo una divisione all’interno del concept album tra la storia di Maria e la passione di Gesù (tema centrale della seconda parte), ma è soprattutto un inno alla figura femminile e alla figura della madre.

 

«Ave Maria, adesso che sei donna,

ave alle donne come te, Maria,

femmine un giorno per un nuovo amore

 

povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre

nella stagione che stagioni non sente.»

 

La figura della madre, è l’apertura anche della seconda parte, dove Maria, adulta e matura, passa davanti ad una bottega di un falegname che sta lavorando il legno (Maria nella bottega di un falegname). Chiede quale sia l’oggetto del suo lavoro, forse una stampella per chi ha preso una gamba in battaglia? No.

 

“Tre croci, due per chi disertò per rubare,

la più grande per chi guerra insegnò a disertare.

[...] Vedran lacrime di Dimaco e di Tito al ciglio.

Il più grande che tu guardi abbraccerà tuo figlio»,

 

risponde il falegname.

 

Ci troviamo quindi in Via della croce, che – e cito Walter Pistarini – “è un affresco imponente, di potenza espressiva quasi caravaggesca, con i suoi "gruppi" magistralmente dipinti dalle parole di De André. Dapprima i rancorosi genitori dei neonati uccisi da Erode. Seguono le donne addolorate, gli apostoli, i rappresentanti del potere. E poi gli ultimi:

 

«ma gli occhi dei poveri piangono altrove,

non sono venuti a esibire un dolore»

 

A completare il quadro, i due ladroni: «perdonali se non ti lasciano solo,

se sanno morir sulla croce anche loro»

 

e le madri:

 

«a piangerli sotto non han che le madri,

in fondo, son solo due ladri».”

 

Tre madri è forse la canzone più dolorosa dell’intero album. Le madri di Dimaco e Tito, i ladroni crocefissi accanto a Gesù, rimproverano Maria per il suo pianto: inutile piangere un figlio che dopo tre giorni risorgerà. Loro, invece, non li vedranno più. Ciò che non capiscono, e che poeticamente emerge dalla canzone, è che Maria è appunto madre. Non è Madonna o la prescelta, è una madre. Gesù è figlio di Dio per tutti, ma figlio solo per Maria.

 

«Non fossi stato figlio di Dio,

t'avrei ancora per figlio mio»

 

è il suo grido straziato ai piedi della croce.

 

Arriviamo quindi alla conclusione, Il testamento di Tito, dove il ladrone, protagonista della canzone, smonta uno per uno i dieci comandamenti, confidando che l’unico vero insegnamento ricevuto e perseguito è l’amore. Forse è per questo che Gesù dirà lui: «In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso».

 

Laudate hominem chiude il concept album, iniziato con una lode a Dio e concluso con una ode agli uomini, esseri fragili, imperfetti, a volte incomprensibili, ma capaci d’amare. 

Quest’opera va inquadrata anche nel contesto storico della data di pubblicazione: negli anni ’70 l’ideale trascinava con sé la lotta, lo spirito, la fede. Così come per Gesù 2024 anni fa, nel 1970 in Italia c’era un fermento per nuove posizioni politiche, nuovi modi di pensare e nuove ideologie. De André probabilmente ne era contento, e forse voleva proprio per questo trasmettere un messaggio: lottare per un ideale, anche se può scoraggiare di fronte al pericolo e all’opposizione, non è mai vano. Gesù viene crocifisso e il male sulla Terra rimane. Un uomo che ha dedicato la sua vita a lottare per un’idea rivoluzionaria, esce all’apparenza sconfitto. Eppure si scrive e si canta dopo più di duemila anni di quest’Uomo che ha speso e sacrificato la propria vita per insegnare un’ideale: l’amore. Sebbene la storia appaia così ingiusta, questi sono i fatti: Gesù muore, Barabba sopravvive e Pilato se ne lava le mani; ed io, Davide Diamanti non posso che considerare La Buona Novella un capolavoro estremamente attuale. E se è davvero così come credo, ci sarà sempre da qualche parte una voce capace di rivoluzionare il mondo.