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La vita del teatro: il gioco

04 febbraio 2021

Tra i preziosi lasciti di Alfonso Spadoni c’è un’intima definizione del teatro, che risuona profetica in questo nostro tempo fragile. «Un teatro, un vecchio, glorioso teatro – scrive Spadoni – è qualcosa di vivo, è un amico, un appuntamento, un ricordo, uno specchio, un momento, un legame, una libertà, una nostra storia, una nostalgia, una sommessa felicità, un essere in tanti, un essere soli, un desiderio nascosto, un desiderio soddisfatto, la nostra casa, la bella casa degli altri, una verità sconosciuta, una verità dentro di noi, un incontro, una giustizia, una mano per il nostro cammino, un passo del nostro cammino, un libro dei libri perduti e ritrovati, e tante altre cose e molte altre ancora».

Il ciclo di incontri online La vita del teatro si ispira a questa fulminante espressione dello storico direttore del Teatro della Pergola. Un viaggio per immagini nella storia del teatro, alla scoperta della sua anima vitale e fremente. Per stare in contatto e non perdere la memoria. Per mantenere viva la fiammella del nostro personale rapporto con il teatro in questo lungo inverno pandemico.

Nobili che giocano a carte, Venezia, XVIII secolo

Siamo partiti da un caposaldo dell’arte teatrale: il gioco. Fondamento di cui spesso ci dimentichiamo, vivendo in un’epoca dove il serio (l’intellettuale) è separato dal gioco, che altro non è che esercizio dei sensi, del corpo e dell’immaginazione. La stessa arte attoriale affonda le radici nel gioco. Nonostante le gravose e talvolta utopiche missioni conferitegli nei secoli, l’attore gioca, come si suol dire in buona parte delle lingue europee. Basti ricordare l’inglese to play, o il francese jouer. Il riduttivo recitare in italiano se connota l’antico parallelismo fra l’attore e l’oratore, limitando il compito dell’attore nel dire, non coglie quel peculiare senso del gioco dove il divertimento e la riflessione sono facce della stessa medaglia.

D’altro canto, la teatralità è da sempre un elemento insito al gioco, a partire da quelli infantili dove i bambini (giocatori) spesso interpretano un personaggio (“io faccio l’indiano buono e tu il cowboy cattivo”) o più genericamente un ruolo (guardia e ladro). Lo sapeva bene Orazio Costa, regista e pedagogo tra i più incisivi del Novecento, che aveva casa alla Pergola, creatore di un metodo di recitazione che mette al centro l’uomo e la sua potenzialità espressiva. Solo recuperando l’istinto mimico che manifestiamo in modo libero e naturale nell’infanzia, ci insegna Costa, vi è la possibilità della più alta crescita dell’essere umano e del raggiungimento della verità scenica.

L’importanza del gioco la conoscevano bene i latini, i quali chiamavano ludi sia gli spettacoli sportivi che quelli teatrali. Le correlazioni tra teatro e gioco sportivo hanno segnato la via al rinnovamento dell’arte scenica nel XX secolo. Peter Brook sostiene che uno spettacolo teatrale si prepara come una partita di calcio, mentre Bertolt Brecht auspicava uno spettatore tecnico, simile a quello sportivo, che conosce le regole del gioco per giudicare in maniera oggettiva chi sia il migliore in campo.

Il gioco coinvolge corpo, mente e anima non solo di chi il teatro lo fa, ma anche di chi lo frequenta. Per secoli interi si andava a teatro anche per giocare, soprattutto nel Settecento, epoca in cui il gioco di carte era un rituale della vita sociale della nobiltà. Gli uomini provavano il brivido cimentandosi nel gioco d’azzardo (perdendo spesso delle vere e proprie fortune), mentre le dame intessevano sottili trame di seduzione con il gentiluomo di turno. Si giocava in alcuni stanzoni chiamati casini, o stanze da giuoco, situati spesso all’interno dei teatri. Tra il Sei e il Settecento il ridotto del Teatro San Moisè a Venezia era la sala da gioco più famosa della città, tanto che nell’uso veneziano la parola ridotto divenne sinonimo di bisca. Questo era lo spirito e la consuetudine della Serenissima di Giacomo Casanova, giocatore incallito e inventore del gioco del lotto diffusosi poi in tutta Europa.

Manifesto che annuncia un grande evento di boxe, 1934. Archivio dell’Accademia degli Immobili, Teatro della Pergola

Alla Pergola si gioca soprattutto durante il periodo di Carnevale, in occasione delle maestose feste da ballo, all’epoca dette festini, che dal 1729 in poi vengono organizzate quasi ogni anno. In queste occasioni a teatro si radunano avventurieri d’ogni risma, tra cui bari e spacciatori di monete false, che provocano frequenti discussioni e risse. Per garantire l’ordine pubblico, più volte le autorità cercano di intervenire ponendo severe limitazioni al gioco, senza ottenere grossi risultati. Tra il Sette e l’Ottocento il Teatro della Pergola ospitava un biliardo che attirava molti spettatori. Altrettanti accorrevano sul palcoscenico in occasione delle ardenti partite di boxe, sport tanto in voga nel ventennio fascista. In Saloncino, invece, si pattinava. La sala che gli Accademici Immobili avevano dedicata alla musica e al ballo sin dagli albori del XIX secolo, si trasforma nel 1936 in una spettacolare pista di pattinaggio.

In fin dei conti il teatro è da sempre un luogo dove trarre diletto. Lo sapevano bene i nobili che tra il Sei e l’Ottocento vivevano intensamente i palchi dei teatri all’italiana, stanzette private dove giocare, mangiare e amoreggiare. Ma questa è un’altra storia, che scopriremo nella prossima puntata de La vita del teatro.

Adela Gjata