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L'esplosione dell'arte. Intervista a Giancarlo Sepe

19 aprile 2024

di Angela Consagra

Perché ha scelto di realizzare Femininum Maskulinum, uno spettacolo che parla dell’esplosione dell’arte, proprio in un periodo caratterizzato dalla censura più estrema? È una fase della Storia a cui spesso ritorna nel suo lavoro…

È un momento storico che, pur essendo lontano nel tempo, sembra non smettere mai di appartenerci. Con lo spettacolo Germania anni ‘20 avevamo già percorso gli anni delle speranze della Repubblica di Weimar, tra la fine della Grande guerra e il nazismo all’orizzonte. Ma con la salita al potere di Hitler il 30 gennaio del 1933 tutto quello che era stato sognato in quegli anni precedenti svanisce nel nulla: le promesse, le libertà culturali, politiche, sessuali, quelle di genere, sono cancellate. In questa particolare e drammatica fase si creò un tale sbandamento nei critici, negli attori, nei poeti, nei pittori, nei registi: non sapevano più che cosa fare. Alcuni scelsero di scappare, altri invece hanno resistito e non sono andati via: volevano provare a vedere se esisteva una possibilità di confutare questa ascesa che avrebbe negato ogni libertà. Due settimane dopo l’avvento di Hitler venne, però, impartita una nuova disposizione: chi veniva scoperto ad armeggiare contro il potere di Stato doveva assolutamente essere arrestato e, in pratica, fatto sparire. Questo ordine era ampiamente discrezionale: si può dire di chiunque che stia costruendo un’opposizione contro il potere, ma non per questo è immediatamente catalogabile come un delinquente. Lo stato delle cose precipitò: si chiusero locali, gli spettacoli teatrali vennero cancellati. La mancanza di libertà: il nodo della proibizione venne subito al pettine.   

 

 

“Luce, musica e fisicità sono fondamentali, un ritmo ossessivo caratterizza particolarmente tutto lo spettacolo.”

Giancarlo Sepe

E chi, alla fine, ha avuto ragione? È meglio fuggire in un altro Paese o cercare il modo di rimanere, anche se la situazione diventa estremamente difficile?

Ci sono stati personaggi che hanno avuto l’occasione e la possibilità di andare via subito. Sono quelle figure che potevano essere soggette a vivere situazioni molto peggiori rispetto al solo arresto e, quindi, da non biasimare. Poi c’è chi ha resistito, in qualche modo, barcamenandosi in una realtà così complessa: uno di questi è Thomas Mann. È un uomo emblematico: non ha mai fatto operazioni contro il nazismo, se non dopo il 1936, l’anno in cui abbandonò la Germania perché privato della cittadinanza tedesca e della laurea ad honorem conferitagli a Bonn. In quel momento lui si sentiva molto in pericolo, anche se il suo editore era nazista e gli permetteva di continuare a ricevere tutti i proventi delle opere che riusciva a vendere. Thomas Mann aveva paura di perdere anche quei soldi andando via dal Paese, perché sarebbe bastato un provvedimento governativo per bloccare tutti i suoi guadagni. La sua era una resistenza, ma, al tempo stesso, tentava di trovare una strada per non restare privo di tutto. I suoi figli, Klaus ed Erika, così come suo fratello non affrontarono questa fase con il medesimo approccio: loro avvertirono più pesantemente l’avvento del nazismo nella quotidianità e Klaus, specialmente, arrivò a suicidarsi. Thomas Mann trovò il modo di tergiversare, di aspettare fino all’ultimo per partire, ma non era sicuramente un filonazista. La sua era una lotta diplomatica: occorre una grande forza per barcamenarsi nelle difficoltà e nei pericoli.

 

Un altro personaggio che appartiene a questo periodo storico è Billy Wilder. 

Sì, lui partì dall’Austria alla volta di Berlino prima del 1933. Mi riferisco al Billy Wilder del 1929, con un suo documentario sulla Germania prenazista intitolato Uomini di domenica. È un lavoro straordinario, che narra dei berlinesi più poveri, quelli che non fanno parte delle classi abbienti o della borghesia. Billy Wilder racconta della gente del popolo che, semplice ed umile, riesce a crearsi una propria esistenza di tutto rispetto, anche senza soldi né prospettive e nel pieno della Grande Depressione, come conseguenza della Prima Guerra Mondiale. Il partito nazionalista di Hitler scosse l’amor proprio dei tedeschi, affermando che non potevano essere vittime di un debito insanabile e senza la prospettiva di arrivare mai, da questo punto di vista, a un progresso. Le responsabilità per l’ascesa del nazismo al potere sono molteplici: pensiamo, per esempio, anche al Trattato di Versailles, quando la Francia si scatenò contro la Germania senza lasciarle nessuno spazio di sopravvivenza.

“Libertà è dare spazio alla irrazionalità. Niente di consacrato, niente di definito, niente di canonico: non allinearsi ai cliché.” 

Giancarlo Sepe

 

 

Come nasce il titolo dello spettacolo?

Inizialmente avevo pensato soltanto a delle parti femminili per questo spettacolo. Il primo titolo doveva essere Femininum, ma in seguito ho pensato che parlare di femmine e maschi sarebbe stato più interessante, soprattutto in un periodo come quello che stiamo vivendo: si parla tanto di genere, di fluidità, di versatilità e di libertà sessuale. Ho incrociato, così, varie letture riguardo ciò che succedeva prima dell’avvento di Hitler e anche subito dopo. Weimar aveva fatto sperare in una libertà di tutti i generi, sia politica che culturale. Con Hitler tutto di botto si ferma e, quindi, molti dicevano: “Noi ci vendicheremo nei letti”. Si vendicavano anche tenendo in piedi cabaret come il Pfeffermühle (in italiano, Il Macinapepe), che è il nome che Thomas Mann regalò al cabaret della figlia Erika. Lì abitavano tutti i transessuali e gli omosessuali; una delle grandi attrici del teatro classico – Therese Giehse, diventata amante di Erika Mann – finiva a mezzanotte la sua recita nel teatro più importante di Berlino e cinque minuti dopo, cambiata d’abito, era già ad esibirsi al Pfeffermühle

 

La luce, la musica, la danza: sono questi gli aspetti più importanti della messinscena, come in tutte le sue regie?

Luce, musica e fisicità sono fondamentali anche in questo spettacolo, ma un aspetto che forse si recensisce poco parlando del teatro è il ritmo: un ritmo ossessivo caratterizza particolarmente tutto lo spettacolo. In Femininum Maskulinum, inoltre, riveste molta importanza la parola: in scena, infatti, io faccio parlare Hitler, Thomas Mann, Billy Wilder, Al Capone… Per quanto riguarda questo spettacolo, si tratta di un vero e proprio viaggio nelle emozioni.

 

La libertà, che cos’è per Lei?

Libertà è dare spazio alla irrazionalità. Niente di consacrato, niente di definito, niente di canonico: non allinearsi ai cliché.