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Senza giudicare. Intervista a Marco Tullio Giordana

24 febbraio 2025

di Angela Consagra

Da quali particolari elementi è partito per la realizzazione dell’idea registica? Ha preso spunto da certi elementi legati alla tradizione di questo testo o piuttosto ricorrono nella rappresentazione influenze diverse, anche cinematografiche?

Sono partito molto semplicemente dalla rilettura del testo originale, pensando a uno spettacolo che rimanesse fedele alla scrittura modernissima di Pirandello e al tempo stesso avesse una durata e un apparato scenico compatibili con i limiti e le abitudini di oggi. Geppy Gleijeses e io ci siamo posti l’obiettivo di tener sempre desta l’attenzione dello spettatore e di rendere possibile, grazie all’abilità dello scenografo Gianni Carluccio, un montaggio rapido dello spettacolo senza rinunciare alle suggestioni visive e ai continui cambi/scena.

 

In passato ha affrontato per il teatro molta drammaturgia contemporanea. È con lo stesso spirito che si è avvicinato a un autore come Pirandello? 

Affronto la messinscena di un testo cercando di far emergere quello che mi colpisce come lettore, l’attualità innanzi tutto, il valore poetico, l’occasione per ogni attore della Compagnia di far valere il proprio talento. Nel caso di Pirandello, come per ogni grande autore di teatro, tutto è facilitato dalla grande abilità drammaturgica, anche se Il fu Mattia Pascal è nato come romanzo e non come una pièce. Ma la costruzione, la forza dei dialoghi, la lingua: sembra tutto già predisposto per la trasposizione sulla scena.

 

Quali caratteristiche del teatro di Luigi Pirandello sente più simili alla sua sensibilità?

Forse il tema dell’identità che grava su ogni personaggio, il vivere la propria esistenza sognandone un’altra dove crediamo di realizzare meglio le nostre aspirazioni e affrontando invece una cocente delusione. La scontentezza di sé, l’irrequietezza, la solitudine. Sono sentimenti oggi così presenti nel comportamento di tutti, senza distinzioni di ceto o di età: è un’inquietudine, in questa nostra realtà, che mi sembra addirittura essersi trasformata in una patologia.

Dal punto di vista della regia, quali sono le diversità nell’impostazione di una messinscena per il cinema, la Tv o il teatro?

Nel cinema, e anche nella televisione, il punto di vista è sempre quello della macchina da presa, dell’inquadratura e dei tagli decisi dal regista. Nel teatro invece il punto di vista è sempre quello dello spettatore, di quello che vede dalla sua poltrona o dal suo palco. La regia deve fare in modo che lo spettacolo sia avvincente da ogni postazione, diversissima, che occupa lo spettatore. Il dispositivo è perciò più complesso, sempre che non si abbia un’idea puramente frontale e bidimensionale dello spazio. Pittura, ma non teatro.

 

“Affronto la messinscena di un testo cercando di far emergere quello che mi colpisce come lettore, l’attualità innanzi tutto, il valore poetico, l’occasione per ogni attore della Compagnia di far valere il proprio talento”

 

Qual è l’aspetto da cui parte, che trova più importante, nell’ideazione di una regia: l’attenzione per lo spazio, il rapporto con gli attori…

Penso che sia molto importante l’ideazione di tutto il dispositivo dello spettacolo - le scene, i costumi, la musica e, naturalmente, le luci - ma che la cosa più importante sia il lavoro di tutti gli attori, la forza della loro presenza sulla scena, della loro capacità di trasmettere e di emozionare. Senza di questo lo spettacolo più bello del mondo non sarebbe che una scatola vuota. Parto sempre da un’idea di naturalezza, di scioltezza nell’eloquio. Addirittura, di velocità, di tempo (inteso in senso musicale). Questo perché mi sembra che il fraseggio, il flusso della recitazione, non debba mai essere interrotto o alterato, prendersi pause abusive. Non per un fatto di noia (anche la velocità può risultare noiosa), ma perché vorrei dare l’illusione allo spettatore di trovarsi lì quasi di nascosto, di essere come un voyeur che si intrufola nelle vite degli altri. Questo non sarebbe possibile ove la recitazione risultasse ieratica e pomposa, le parole pronunciate anziché dette

Nei suoi film ha detto di cercare sempre di mettere in scena “le ragioni di ciascuno, anche le più perverse”: il suo modo di raccontare una storia è cambiato nel corso del tempo?

Non voglio giudicare i miei personaggi: il mio obbiettivo costante è cercare di capirli. Mi obbligo a farlo anche per quei personaggi più sgradevoli o negativi perché, come diceva Jean Renoir, “ognuno ha le sue buone ragioni”. Questo non significa non prender parte o non avere dentro di sé amore o antipatia, però evito di far prevaricare le mie personali predilezioni. Tanto è vero che mi sono accorto di affidare spesso i ruoli più tormentati proprio a quegli attori che più mi piacciono come persone.

 

“Penso sempre agli spettatori perché in fondo noi tutti lavoriamo per loro. Per intrattenerli, per farli stare bene (magari anche attraverso scossoni turbolenti), ma non sono ossessionato dall’idea di compiacerli a tutti costi. Vorrei incuriosirli, appassionarli. Chiedo di collaborare con la loro intelligenza, la loro perspicacia, la loro sensibilità”

 

Quando dirige, pensa mai ai suoi potenziali spettatori? Il pubblico: che cos’è per Lei?

Naturalmente penso ai miei spettatori perché in fondo noi tutti lavoriamo per loro. Per intrattenerli, per farli star bene (magari anche attraverso scossoni turbolenti), ma non sono ossessionato dall’idea di compiacerli a tutti costi. Nel senso che non vorrei mai fare niente di corrivo per captarne la benevolenza, niente di sguaiato. Vorrei incuriosirli, appassionarli, soprattutto fargli seguire una storia senza annoiarli. Chiedo di collaborare con la loro intelligenza, la loro perspicacia, la loro sensibilità. Ripensando agli anni della mia formazione (ho cominciato molto preso ad andare sia a teatro sia al cinema) ho un ricordo indelebile di quegli spettacoli che mi hanno turbato e costretto a pensare. Soprattutto gli spettacoli che non volevano “educarmi” o trattarmi come un moccioso. Quelli che non semplificavano e che, anzi, al contrario mi obbligavano a uno sforzo; quelli che mi accendevano la curiosità, che mi accompagnavano qualche volta all’inferno, qualche altra in paradiso.