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Un Manzoni in jeans e t-shirt. Intervista ad Angelo Savelli

19 marzo 2025

di Angela Consagra

Partendo dal titolo dello spettacolo, I promessi sposi, ovvero: questo spettacolo non s’ha da fare: oltre ad alludere alla celebre frase dei Bravi manzoniani nell’episodio di Don Abbondio, a cosa si riferisce in particolare per questa vostra messinscena?

Si riferisce a tutti i dubbi nati durante la progettazione della prima edizione dello spettacolo nel 1999. Pensavo: a chi può interessare oggi la storia di questi due sempliciotti? E se la gente ne conservasse un pessimo ricordo scolastico? Ma chi me lo fa fare di metter mano ad un monumento della cultura nazionale, dove, sull’interpretazione dei più risaputi passi salienti, tutti mi aspetteranno con i fucili puntati? E poi: come portare in scena in due ore di spettacolo un’opera che ha richiesto ben otto lunghe puntate nell’edizione televisiva? Cosa togliere? Cosa mettere? Insomma: durante il lavoro, un dubbio spariva e un altro affiorava ed era un continuo altalenare tra un “no, questo spettacolo non s’ha da fare” e un “ma sì, dai, proviamo a farlo”. Alla fine, per fortuna, lo spettacolo si è fatto ed è stato un tale successo da essere oggi alla sua sesta riedizione, in una nuova veste ancor più giovanile e lineare di quella del ‘99.

 

Un Manzoni in jeans e t-shirt.

Appunto. Uno spettacolo dinamico e spigliato, attualizzato nella forma ma non nel contenuto. Uno spettacolo estremamente fedele al testo. Non solo alla lingua manzoniana ma anche al significato profondo della sua opera: gli uomini sono solo in parte padroni del proprio destino. Essi si arrabattano per raggiungere i propri scopi ma alla fine c’è qualcosa d’indifferente alle passioni umane – alcuni la chiamano Caso altri Provvidenza – che distribuisce premi e punizioni. I buoni cercano di compiere il bene ma spesso producono, anche se involontariamente o per ignoranza, solo disastri, e i cattivi cercano di realizzare i loro malvagi disegni ma spesso finiscono vittime delle loro stesse trame. Proprio per questo, nella mia riduzione teatrale – che non poteva contenere tutto – ho preferito lasciare in ombra alcuni personaggi principali, come l’Innominato o il cardinale Borromeo, per dare invece spazio a personaggi ingiustamente considerati minori, come Don Ferrante e Donna Prassede. Questo perché proprio nelle attitudini e nelle vicende di queste due patetiche figurine (che ci richiamano alla mente moderni integralismi e odierne smanie negazioniste), Manzoni sembra ironicamente e in maniera definitiva sbeffeggiare la presunzione degli uomini di poter conoscere il proprio destino e l’illusione di poterlo modificare.

“La qualità che più mi impressiona negli attori è la loro capacità di essere naturali nella finzione. Tranquillamente naturali nella totale finzione. Come i bambini”

 

In che modo ha operato sulla scrittura letteraria di Alessandro Manzoni per renderla poi sulla scena? 

La scintilla che ha reso possibile la realizzazione di questo spettacolo è stata la visione nel 1996 dello spettacolo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Luca Ronconi, colui che io considero il più grande regista del ‘900. Con la sua acclarata genialità, Ronconi non aveva realizzato una riduzione teatrale in stile sceneggiato televisivo ma aveva portato in scena, pari pari, le pagine del libro di Gadda; non solo i dialoghi ma anche le descrizioni degli ambienti e le considerazioni dell’autore, affidandole alla voce dei personaggi stessi. Ronconi faceva, dunque, parlare di sé i personaggi in terza persona con un meraviglioso effetto straniante ed anche ironico. Un’idea illuminante di come letteratura e teatro si potessero coniugare dando grande libertà alla scena e restando fedeli al testo e all’autore. Un approccio che mi ha subito appassionato e che ho immediatamente sperimentato sul romanzo manzoniano, con dei risultati così efficaci che me lo sono portato dietro fino a La bastarda di Istanbul. Oggi, molti usano questo “metodo Ronconi” ma credo di essere stato, nel mio piccolo, uno dei primi a sperimentarlo.

Marco Borrelli

È difficile rappresentare in palcoscenico l’ironia?

In questo caso, no. Perché lo sguardo ironico e disincantato di Manzoni nei confronti dei suoi personaggi e delle loro peripezie si è qui ben sposato con l’espediente ronconiano, altrettanto ironico e distaccato, di far parlare i personaggi contemporaneamente dal di dentro, con le loro parole, e dal di fuori, con quelle dell’autore. E, come tutti possono constatare, il risultato non è stato affatto cervellotico ma di una grande leggerezza e naturalezza.  Uno spettacolo, mi viene da dire, umoristico, nel senso pirandelliano del termine.

 

La regia a due con Ciro Masella: che tipo di esperienza è stata? L’unione fa la forza, in qualche modo?

Certo che fa la forza. E in questo caso più che mai. Nel 2019, durante le prove della quarta riedizione dello spettacolo, io ero in un letto dell’ospedale di Careggi circondato dai medici e Ciro sul palcoscenico di Rifredi circondato da attori e tecnici. Pur di non far saltare lo spettacolo, Ciro Masella – artista che gode della mia stima e ottimo direttore d’attori – ha accettato di operare in mia vece, facendo una quotidiana spola tra l’ospedale e il palcoscenico per dare corpo ad un progetto che era già tutto nella mia testa e in cui, naturalmente, ci ha messo anche qualcosa di suo. Così è stato possibile realizzare l’odierna versione dello spettacolo, tutt’ora in scena, con un cast tutto nuovo, un testo revisionato e un nuovo taglio registico. Devo essere estremamente grato a Ciro per questo determinante contributo che dimostra quanto a teatro, come anche nella vita, le sinergie possano essere salvifiche.

 

Lei è un grande talent scout di attori, anche molto giovani, per la scena: come si scopre il talento? Che cosa deve avere un attore per convincerla a sceglierlo?

Non credo di essere un grande talent scout, ma solo un teatrante con una lunga esperienza. Nella mia carriera ho avuto la fortuna di lavorare con affermati artisti che hanno messo a mia disposizione il loro meraviglioso talento: Marisa Fabbri, Lucia Poli, Serra Yilmaz, Gigio Morra, Gennaro Cannavacciuolo, Carlo Monni e tanti altri ancora. Ma ho anche avuto la fortuna d’intercettare una serie di giovani esordienti di talento, a cui ho dato spazio e fiducia e che mi hanno ricambiato con eccellenti prestazioni. Alcuni di questi hanno poi spiccato il volo verso altri prestigiosi lidi. Non possiedo un “contatore Geiger” per rilevare il talento dei giovani. Mi baso sull’istinto e sull’esperienza. Ma direi che la qualità che più mi impressiona fin dal primo incontro è la loro capacità di essere naturali nella finzione. Tranquillamente naturali nella totale finzione. Come i bambini.

 

“Manzoni sembra ironicamente e in maniera definitiva sbeffeggiare la presunzione degli uomini di poter conoscere il proprio destino e l’illusione di poterlo modificare”