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Una drammaturgia onirica. Intervista a Stefano Massini

22 marzo 2024

di Angela Consagra

È da anni che continua ad approfondire un autore come Sigmund Freud…

Il mio è un lavoro ultradecennale e ho sempre continuato a studiare L’interpretazione dei sogni: è stata come una fissazione, una sorta di bella ossessione per me… Questo testo racchiude in sé un materiale estremamente fertile dal punto di vista delle potenzialità teatrali e delle possibilità, che dispiega in termini di racconto. Lo stesso Freud lo definisce come un’opera dalla “drammaturgia onirica”. È lui a dire: “Perché questo teatro ogni notte, quando chiudo gli occhi, apre il sipario?” Si crea allora una metafora continua, perché ognuno di noi, quando la notte sogna, è come se costruisse una qualche forma di teatro, una vita inventata e reale al tempo stesso. Ciò rappresenta un elemento molto intrigante, che si unisce anche all’indiscutibile portata storica di un’opera come L’interpretazione dei sogni, un testo cardine nella storia del Novecento. Il libro viene pubblicato, nella sua prima edizione, esattamente nel 1900 e di fatto illumina tutto il secolo: indaga le anomalie e le asimmetrie, tutti quei non detti e le zone d’ombra della borghesia. Inoltre, esiste un punto molto personale che mi collega a Freud: io – essendo non un attore puro ma uno scrittore e un performer che va in scena, sotto forma di un se stesso, raccontando storie – faccio da narratore e prendo in prestito un Io altro. In questo caso si crea un ulteriore cortocircuito perché Freud, quando pubblica L’interpretazione dei sogni, ha la mia stessa età. Ho voluto raccontare sulla scena queste storie, così potenti, in un continuo sdoppiarsi di un Io in Freud. Come quando Freud inizia a domandarsi la motivazione dei suoi sogni, è costretto ad andare indietro nella propria infanzia o nella propria vita coniugale, alla ricerca di episodi che giustifichino quel determinato sogno che ha fatto. Oppure ci sono i suoi pazienti, che vanno in cura da Freud raccontando i propri sogni: è tutto un rincorrersi sul palcoscenico di storie illuminanti, in cui il pubblico può riconoscersi. Ingrediente fondamentale sono le musiche di Enrico Fink.

"È impossibile smettere di sognare perché il sogno fa parte della natura umana"

Stefano Massini

 

 

È difficile rendere comprensibile un linguaggio così letterario sulla scena?

Come sempre nei miei lavori, attraverso la narrazione delle vicende di un personaggio, cerco di spiegare e rendere accessibile una storia che possa essere utile a tutti. Questo è uno spettacolo in cui, forse, si viene a teatro con un desiderio: arrivare a comprendere quali sono le regole fondamentali che sottintendono alla lettura di un sogno o di un incubo mai riusciti ad interpretare prima. Sulla scena di Marco Rossi, attraverso tutta una serie di casi legati ai sogni, resi immagini da Walter Sardonini, cerchiamo di dare una risposta a questa domanda. Il sogno è qualcosa che nasconde, come sottolineano le luci di Alfredo Piras, molto di più di quello che all’apparenza sembra, mentre per tanto tempo è stato ‘bocciato’ come qualcosa privo di valore, un semplice fatto onirico. Nel parlare quotidiano spesso usiamo l’espressione “neanche per sogno”, ed è un modo per dire “neanche nella più estrema delle ipotesi”: il sogno viene inteso allora come qualcosa di assurdo e inconcepibile, lontano dalla realtà. Invece, Freud inizia a rendersi conto che il sogno va preso sul serio. A un certo punto dello spettacolo, a una festa dove indosso una maschera di Elena Bianchini (suoi anche i costumi), rivolgendosi a un collega che di fatto lo sta deridendo per questa sua attenzione ai sogni, Freud pronuncia una battuta emblematica: “I sogni sono materiale a rischio. Se non li maneggi con cura puoi anche farti molto male.” 

Foto Filippo Manzini

Oggi non dobbiamo smettere mai di sognare?

È una domanda che potrebbe aprire a due risposte. La prima, forse più ovvia, è quella che avrebbe dato Freud: è impossibile smettere di sognare perché il sogno fa parte della natura umana. Ma esiste anche un’altra questione, che ci comunica sempre Freud: probabilmente il folle – a cui è permesso di dire o fare qualsiasi cosa perché tanto è pazzo (in una direzione pirandelliana: la famosa “corda pazza” de Il berretto a sonagli) – è colui che sogna di meno, perché non ne ha bisogno: la sua vita durante il giorno è talmente priva di giudizio e di regola, di museruola e di guinzaglio, che può fare quello che vuole. Freud ci dice che più si è incastrati all’interno di un gioco sociale fatto di maschere, più di notte hai bisogno di urlare e senti l’esigenza di dire quello che non ti piace. Il sogno è anarchia e, quindi, rottura di ogni regola. 

 

 

"Freud ci dice che più si è incastrati all’interno di un gioco sociale fatto di maschere, più di notte hai bisogno di urlare e senti l’esigenza di dire quello che non ti piace"

Stefano Massini