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Ionesco Suite
Primo Workshop

Due attori della troupe del Théatre de la Ville di Parigi, Stephane Krähenbühl e Gérard Maillet, e il direttore Emmanuel Demarcy-Mota con Julie Peigne. Un gruppo di giovani attrici e attori, già diplomati alle scuole Orazio Costa e Oltrarno. Cinque giorni. Eugène Ionesco. Quattro mani, un diario di bordo. Unite i punti.

 

Riccardo Ventrella, Greta Bendinelli 

Giorno 1

JE M’APPELLE… Una serie di IO MI CHIAMO detti in un francese di varia incertezza, pronunciato come in vacanza. Ma nessuno qui è in vacanza: tutti sono qui per fare gli attori, per MELANGIARSI a due attori francesi del Théâtre de la Ville. Siamo nel già cinema Goldoni, già Arena Goldoni, già luogo dove un inglese figlio di diva scespiriana venuto a Firenze per lavorare con la Duse impiantò il primo centro pedagogico di teatro, e vi incontrò un francese venuto per conoscerlo, che ivi si convinse che una rivoluzione del teatro era necessaria a partire dall’attore. Tornerà a Firenze quel francese per dirigervi uno spettacolo importante; e quantunque più giovane di sette anni dell’inglese si permise di morire quasi un ventennio prima. L’inglese erra Edward Gordon Craig, il francese Jacques Copeau. Oggi diciassette giovani attori hanno cominciato di qui, convinti che per il teatro ci sia bisogno di una rivoluzione. JE M’APPELLE

 

“Tre francesi e diciassette italiani entrano in un teatro…”

 

Oggi all’Ex Cinema Goldoni si gioca e lo si fa in bilico fra l’italiano e il francese, una lingua in cui recitare, suonare e (appunto) giocare si esprimono tutti semplicemente in un modo: jouer.  
E da come sono andate le cose, pare che questa rimarrà la parola d’ordine per tutto il percorso, che è tutto a tema Ionesco. Fra presentazioni che si trasformano in primi appuntamenti e camminate a rallentatore, gli attori del Théâtre de la Ville ci hanno detto che lo scrittore franco-rumeno non definiva il suo teatro assurdo: “è la vita che è assurda.” E chi può dargli torto.

 

Primo compito a casa: imparare alcune battute da La Cantatrice Chauve, piene di modi di dire distorti e jeux de mots – giochiamo ancora, appunto. 
Sarà un’avventura interessante. 

Foto Filippo Manzini

Giorno 2

Foto Filippo Manzini

Gioia, paura, tristezza e rabbia. Quattro sedie.

Qualcuno le ribalta, altri ci si siedono, altri ancora restano in bilico a metà movimento. C’è chi sorride fra le lacrime, chi canta il dolore e chi ha il terrore della felicità.

Quando ci mettiamo davanti agli altri siamo persone, attori o personaggi?

Nel dubbio, ci viene dato un suggerimento: se avete paura, se provate vergogna, ricordatevi che ad un certo punto avete scelto di essere attrici e attori, che da qualche parte dentro di voi c’è un’artista o un poeta con la propria, inimitabile immaginazione.

Fate parlare loro: sarà tutto più facile.

 

ABBASSO IL LUCIDO DA SCARPE. Facciamo che uno entra senza sapere, entra solo per qualche minuto, entra come se fosse un passante. C’è una che dice KAKATUA. Una ABBASSO IL LUCIDO DA SCARPE. Un’altra ancora una cosa come PRUDONO, che potrebbe essere anche PRUDHON. Cosa fanno queste persone sedute sul pavimento? Sono forse attori? Sono forse matti? Sono matti e quindi attori? ABBASSO IL LUCIDO DA SCARPE 

Giorno 3

Dopo tanto fare, sentire e provare oggi si è scoperto il vuoto, lo spazio fra una sedia e l’altra, fra un momento e l’altro. Forse la parte che più fa paura perché non sappiamo che fare. È un vide pieno di angoisse ma che fa anche tanto, tanto ridere. Siamo sempre di più in pieno territorio Ioneschiano. E chissà cosa troveremo dove ancora non abbiamo esplorato.

 

Eppure altri momenti sono stati di una familiarità quasi commovente, perché ogni attrice e attore sa che ad un certo punto si ritroverà a fare un cerchio dove dovrà passare l’energia che riceve battendo le mani. Ed è confortante scoprire che il teatro ha un linguaggio universale tutto suo, che trascende le diverse lingue e culture. O forse siamo davvero tutti più simili di quanto pensiamo. Basta solo ritrovarsi, guardarsi negli occhi ed essere pronti a ricevere gli altri.

 

ARRIVARE IN RITARDO. Scoprire che tutti sono in cerchio, che tutti dicono una frase diversa. Come trovare l’arredamento della propria casa tutto spostato, o un lago che si è trasformato in fiume. Oggi ho scoperto la crescita: qualcuno là dentro non era più quello del giorno prima. Credevo di aver sbagliato teatro, e invece ero lì. 

Foto Greta Bendinelli

Giorno 4

Quelle journée orageuse. Ero lì mentre il fulmine si abbatteva. Orage. L’éclair voit clair, si potrebbe dire parafrasando Jules Renard. Il lago era più o meno tranquillo, quando il fulmine si è abbattuto. Il fulmine governa ogni cosa. E adesso ogni cosa sarà diversa. Prima si poteva tornare indietro, sul sentiero appena preso. Adesso non più. Adesso retrocedere è più penoso che avanzare.

 

Sì. No. Non. Sì. Come ti chiami? Oui. 

 

Cerchio. Sei arrivata in bici? Sì. Veloce. Non ma annuisci. Veloce. Linea. Oui. Sempre più veloce. Oui ma scuoti la testa. Non, oui. Non. 

Si dice il contrario di ciò che si fa e si fa il contrario di ciò che si dice. E la verità sta nel gesto o nella parola? E se sbagli?

Perdi. Ma con Emmanuel Demarcy-Mota l’objectif c’est de perdre. 

 

E noi che al quarto giorno iniziavamo a metterci un po’ comodi, che quasi pensavamo di aver capito, quantomeno, la lingua in cui stavamo parlando. 
Eccolo davvero, l’assurdo. C’est genial

Giorno 5

Abbiamo messo i due punti: raggiunto un golfo di apparente bonaccia, dove i sì sono comunque no e i no sono sì. Come se fosse una trincea per Natale, col suono della battaglia che si allontana. Ci siamo dati un appuntamento vicino, abbastanza vicino da non far allontanare troppo il rumore della battaglia. Siamo amici che si guardano con qualche sospetto.

 

Meno di una settimana di camminate, tartarughe e lumache, scoperte e improvvisazioni. Imparare a conoscersi, a fidarsi. Affidare la propria energia a chi viene dopo di te. Concedersi la libertà di provare qualcosa di nuovo.

 

Appena cinque giorni eppure sembra essere già nato qualcosa di speciale.

 

Ora già ora di andare?

À bientôt.

Foto Greta Bendinelli