Ascoltando Goldoni. Intervista a Sonia Bergamasco
30 ottobre 2024
di Angela Consagra
La locandiera di Carlo Goldoni è un classico del teatro italiano. Calvino sosteneva che “un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”. In che modo questo spettacolo può parlare a un pubblico contemporaneo?
Portando in scena questo testo abbiamo misurato concretamente quanto i sentimenti descritti da Goldoni – le varie fragilità e gli squilibri nei rapporti – risuonino nel presente. Nel modo in cui noi l’abbiamo studiata e attraversata, La Locandiera si rivela come un manifesto politico: al centro della narrazione c’è una figura femminile, una donna lavoratrice che acquisisce la responsabilità, l’onere e la necessità, di continuare il lavoro del padre morto da poco. E grazie ad alcuni particolari che emergono dall’intreccio si capisce quanto lei fosse una donna molto attiva e indipendente già prima di questa eredità: crescendo nella locanda non è mai stata una ragazza succube, conosce tutti gli anfratti di questo spazio, sa come muoversi e comportarsi con i clienti. Ma ciò non significa che Mirandolina sia una manipolatrice e una maliziosa: si tratta di quel cliché femminile a cui purtroppo viene agganciato il personaggio per una tradizione registica e una semplificazione di pensiero. Se tu leggi la commedia di Goldoni, se tu stai con Goldoni e lo ascolti, come abbiamo cercato di fare noi attori insieme al regista Antonio Latella, vedi e scopri in prima persona che in realtà non è così: abbiamo a che fare con dei caratteri a tutto tondo. Non soltanto Mirandolina, ma anche gli altri, sono personaggi che si raccontano con le loro luci e ombre, in una complessità fantastica da affrontare e da vivere per noi attori.
“Il meccanismo della commedia è la rappresentazione pura del gioco all’interno di un micro-gruppo sociale, dove tutti fingono di essere altro da quello che sono”
Sonia Bergamasco
È importante il rapporto che questa figura femminile instaura con gli uomini che ha accanto, molto diversi l’uno dall’altro…
Fabrizio, interpretato da Annibale Pavone, è l’uomo di casa, il cameriere della locanda, quello con la C maiuscola, che si occupa di tutto. Il padre, prima di morire, chiede a Mirandolina di sposarlo per mandare avanti l’impresa di famiglia. Invece, lei ci dice da subito, iniziando la commedia, che non vuole subire imposizioni: vive benissimo da sola, si gode l’esistenza in autonomia e tratta con tutti, ma senza innamorarsi di nessuno. Questo è un suo vanto: c’è ancora un pizzico di infanzia all’inizio del racconto di questa lunghissima giornata di una donna. L’incontro che ha con il Cavaliere di Ripafratta – in scena Ludovico Fededegni – un misogino diverso dai soliti clienti adoranti verso di lei, scompagina un po’ le carte: lui la tratta male, è brusco e scontroso, ma Mirandolina ne viene attirata proprio per questo suo modo di essere. Nei suoi confronti pensa: “Riuscirò a dimostrarti che anche tu ti puoi innamorare”, ma in questo gioco rimane intrappolata perché si innamora lei stessa. È come se la storia fosse una sorta di diario di formazione di una giovane donna: la locandiera si spaventa, perché l’amore non corrisponde all’idea che si era fatta di questo sentimento. Il desiderio di possesso che emerge nel Cavaliere la fa allontanare e rinunciare a questo rapporto: si assiste allora a una forma di fallimento, in qualche modo, ma che arriva alla fine di un percorso in cui ha preso coscienza del suo essere donna. La locandiera è un’opera ambientata a Firenze nella metà del Settecento, in un momento storico in cui la borghesia è rampante; accanto alla coppia Cavaliere-Servitore (Gabriele Pestilli) in questa locanda si delinea un panorama sociale fatto di nobili decaduti che non hanno più un soldo, uomini che mendicano del denaro fingendo di non farlo, come il Marchese di Forlipopoli (Giovanni Franzoni). Il Conte d’Albafiorita (Francesco Manetti), all’opposto, è un arricchito che si è comprato il titolo; la coppia Marchese-Conte si presenta sempre insieme nella narrazione, così ci chiediamo che tipo di coppia sia veramente: dicono tutti e due di adorare Mirandolina, ma alla fine sembra quasi una copertura… La coppia delle comiche – Marta Cortellazzo Wiel e Marta Pizzigallo – che entrano nella locanda fingendo di essere delle dame, solo per divertirsi, implica un ingresso fondamentale nel meccanismo della commedia: è la rappresentazione pura del gioco all’interno di un micro-gruppo sociale, dove tutti fingono di essere altro da quello che sono.
C’è un filo che lega la protagonista di Chi ha paura di Virginia Woolf?, il dramma di Edward Albee che ha interpretato sempre per la regia di Latella, con questo personaggio femminile scritto da Goldoni?
Sono donne diversissime, ma che si tratti di Edward Albee o Carlo Goldoni al centro c’è sempre il lavoro di Antonio Latella sugli attori e questo aspetto, per noi che stiamo sul palcoscenico, costituisce un valore assoluto e anche una richiesta di responsabilità enorme. Sono arrivata all’interpretazione di Martha in Chi ha paura di Virginia Woolf? in maniera molto diretta: ho sentito quel personaggio fin dall’inizio e ho provato la gioia di farla vivere sulla scena in un’esplosione di energia, anche dal punto di vista creativo. Mirandolina è un personaggio più complesso da affrontare sotto il profilo attoriale, perché è una figura che resta sempre in un equilibrio instabile. La prima Mirandolina della storia è stata Maddalena Marliani: attrice del teatro di Goldoni, famosa per i suoi ruoli brillanti da servetta e che impersonando Mirandolina diventa una grande Prima Attrice, riuscendo a conservare tutta quella ricchezza di timbri e sfumature, anche comiche, che la contraddistinguevano. La Marliani era stata anche una funambola, e questo è un dato che ci ha molto ispirato, sia me come attrice che Antonio per la regia. Rimanere come su un filo, in un equilibrio instabile, è un dato drammaturgicamente essenziale per il personaggio della locandiera, ma che determina anche una difficoltà per disegnarlo.
“Rimanere come su un filo, in un equilibrio instabile, è un dato drammaturgicamente essenziale per il personaggio della locandiera”
Sonia Bergamasco
Questo testo è caratterizzato da un lato brillante e più divertente, tipico della commedia di Goldoni. Sentire la risata del pubblico, che tipo di emozione è?
Senti che il pubblico sta seguendo il flusso della commedia, è una presenza molto calda che arriva sulla scena: siamo insieme, attori e spettatori. Noi non cerchiamo la risata per la risata, ma è vero che Goldoni amava divertire il pubblico e riusciva a farlo splendidamente. Non c’è mai uno spettacolo uguale all’altro: il pubblico è coprotagonista e io lo ascolto sempre, dall’inizio alla fine.