Essere o non essere. Intervista a Filippo Timi
31 gennaio 2025
di Angela Consagra
A quali riferimenti letterari e drammaturgici attinge la messinscena di questo spettacolo?
In parte il mio riferimento è stato Laforgue che è lo stesso autore su cui si è basato Carmelo Bene per il suo Amleto. Un libro fondamentale è stato anche L’universo elegante di Brian Greene. Anche adesso, riallestendo lo spettacolo a distanza di anni, mi accorgo dell’influenza che ha avuto questo autore con la sua teoria delle stringhe: le leggi della macro e le leggi del micro si coniugano per proporre un universo multidimensionale. Mi sono accorto soltanto di recente quanto questo autore sia stato fondamentale per la drammaturgia di Amleto²: effettivamente questo spettacolo è multidimensionale, cioè si passa da Marilyn Monroe al Seicento, da Lorella Cuccarini agli UFO… Sicuramente un ulteriore riferimento per la scrittura sono stati Koltès e anche Heiner Müller con la sua pièce: Riva abbandonata/Materiale per Medea/Paesaggio con Argonauti, con la descrizione della passionalità e della fragilità di Medea. Amleto è un’opera che attraversa il tempo.
“L’ironia è una scelta di vita. Tutti inciampiamo, ma la tragedia, per essere divina, deve essere anche un po’ commedia. Shakespeare stesso definì Amleto una commedia tragica.”
Filippo Timi
Guardando Amleto² si ha l'impressione di trovarsi davanti ad una commedia più che ad una tragedia; l’ironia che accompagna lo spettacolo è stata una scelta registica?
L’ironia è una scelta di vita. Tutti inciampiamo, ma la tragedia, per essere divina, deve essere anche un po’ commedia. Shakespeare stesso definì Amleto una commedia tragica. Quando hai coscienza di te stesso, riesci anche a raggiungere una certa distanza dalle problematiche che ti riguardano e ciò ti permette di riderne. Già Aristotele parlava dell’essere umano come di un animale che ride ed è una descrizione geniale, che implica una presa di coscienza da parte dell’uomo. Amleto è un uomo che ha aperto gli occhi e si accorge che tutto è rappresentazione.
Da attore, come si affronta l'interpretazione di un personaggio così complesso?
Quello che è cambiato, dalla prima messinscena del nostro Amleto di 15 anni fa, è che noi attori siamo più bravi, nel senso che adesso tutto risulta un po’ più sedimentato e precisato. Abbiamo più coscienza e, quindi, una maggiore libertà espressiva di gioco. Io ho conosciuto Amleto attraverso Cechov. Avevo seguito un workshop su Il gabbiano e c’è una famosissima scena tra i protagonisti che sembra l’equivalente della scena della madre con Amleto. Ricordo che durante questo workshop ci era stato detto che interpretare Kostantin Treplev – lo scrittore giovane della pièce che a tutti gli effetti rappresenta Amleto – è come cercare di scalare una montagna. È qualcosa di tanto grande, a partire dal nome, e occorre fare spazio in noi stessi per affrontare questo tipo di personaggi. Treplov significa foglia che tremola al vento: ecco perché ho sempre avuto l’impressione che i grandi ruoli rappresentino tutto questo, da una parte la complessità di una montagna da salire e dall’altra la fragilità di una foglia che tremola al vento. Sono esseri umani estremi e difficilissimi da incarnare.
In che modo Amleto entra in rapporto con gli altri personaggi?
Amleto ha il desiderio di salvare Ofelia da un destino tragico scritto per lei, sembra quasi una storia d'amore. Elena Lietti riesce a disegnare delle mappe emotive interiori di una tale complessità e immediatezza. Amleto interagisce anche con Marilyn Monroe (Marina Rocco) che si presenta, sotto false spoglie, come il padre di Amleto. Marilyn è sublime, apre e chiude questo Amleto: lo spettacolo inizia con l’idea di Marilyn Monroe che dichiara di vincere un Oscar perché ha trovato parcheggio… E invece conclude lo spettacolo dopo avere tentato di suicidarsi in tutti i modi possibili, ma, essendo la rappresentazione dell’arte, è immortale. L’arte non può morire. È interessante che gli altri due personaggi, Lucia Mascino e Gabriele Brunelli, siano attori che interpretano attori. Questa terza figura femminile ha, come le altre due attrici, sempre tre momenti nello spettacolo: prima è una buffona, come nella Commedia dell’Arte, in seguito appare come una soubrette e fa un vero e proprio one woman show. È proprio Lucia Mascino che si racconta. Nello spettacolo lei diventa anche la madre, in scena sta in una posizione spaccata sul trono, con quest’immagine di una cattiveria…
In questo spettacolo quanta importanza assume la presenza del pubblico in sala?
In ogni spettacolo è importante il pubblico, ma senza viverlo con ossessione. Non mi sembra di fare nulla apposta per il pubblico, anzi coinvolgerlo per me significa essere così spudorati da portare la vita in scena. La Cappella Sistina, per esempio: esiste anche se non si si sta a guardare chi arriva davanti, è un’opera d’arte. In questo senso me ne frego del pubblico e chiedo ai miei attori di fregarsene: cerchiamo di dare il meglio. Punto. Però, è vero che lo sguardo delle persone modifica l’opera d’arte. In questo caso è reale il dialogo che si instaura con gli spettatori, perché lo spettacolo è tutto un gioco per rompere la quarta parete. È proprio un elemento insito nella drammaturgia. È Amleto che cerca di uscire fuori dall’Amleto stesso, senza riuscirci. In certe sere, con certi attori e con un certo pubblico, scatta il dialogo e si finisce con l’amore.
“Un Amleto assolutamente contemporaneo per me è stata Michela Murgia. Una scrittrice e pensatrice che ha davvero messo in discussione tantissime cose.”
Filippo Timi
Alla fine, il pubblico come esce dallo spettacolo, con quali domande e quali risposte?
Un Amleto assolutamente contemporaneo per me è stata Michela Murgia. Una scrittrice e pensatrice che ha davvero messo in discussione tantissime cose: si è interrogata su questioni che non mi sarebbe mai venuto in mente di domandare. Amleto è, dunque, il coraggio. Il coraggio di disobbedire alle ingiustizie. Il coraggio di porsi delle domande. In passato forse tra essere o non essere avrei dovuto fare una scelta: per ingenuità giovanile sei portato a credere, infatti, che tutto debba essere un aut aut. Oggi penso che siano esattamente la stessa cosa: l’essere è parte del non essere, come dire che il giorno comincia dalla notte. Si comincia un nuovo giorno dormendo e sognando. Il sogno non è più una specie di risacca in cui ti spurghi dal passato: tu, attraverso il sogno, prepari il futuro.