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Favole per il pubblico. Intervista ad Alessio Boni

22 febbraio 2024

di Angela Consagra

Dopo I duellanti da Conrad e Don Chisciotte da Cervantes messi in scena nelle scorse stagioni, con il vostro gruppo di lavoro (drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Francesco Niccolini e Marcello Prayer; regia degli stessi Aldorasi, Boni, Prayer) perché siete arrivati ad Omero? C’è un filo che li lega?

Ciò che lega tutto è sempre una ricerca sulla condizione dell’essere umano. I duellanti descrive un duo che non riesce a conciliarsi, quindi la dualità dell’individuo, mentre Don Chisciotte racconta di una persona considerata pazza, anche se la vera domanda, però, è: chi è il vero pazzo? Dove sta veramente la follia, qual è il limite? Il progetto relativo all’Iliade, invece, nasce già quattro anni fa, prima della pandemia. Allora sentivamo un’elettricità strana nell’aria, un malessere contagioso che serpeggiava in giro per le piazze e tra la gente. È un sentimento che attiene alla ferocia, in qualche modo, e che ci appartiene costantemente, non si stempera mai: noi discendiamo da quegli uomini di 3500 anni fa, che mettevano mano al ferro, allo scudo o alla lancia per prendersi i confini o le donne, per conquistare qualsiasi cosa. Oggi non è cambiato niente e, soprattutto, c’è stata la pandemia: in questo spettacolo, metafora delle metafore, parliamo proprio dell’uscita dalla peste. Si entra poi nella guerra delle guerre dell’Iliade, diretti da questi Dei: il gioco degli Dei, appunto, che si divertono a massacrare gli esseri umani. Nella nostra realtà contemporanea la situazione appare simile, ad essersi trasformate sono soltanto le modalità: il mondo è dilaniato da più guerre e chi dirige le fila non sono più gli Dei, ma i potenti e gli oligarchi. È la stessa storia che si ripete, con una sua ciclicità: la totale continua perenne sete di potere, il desiderio di acquisire sempre di più, il bisogno di vendetta. Alla fine, basta un nulla per scatenare quella ferocia che è in ognuno di noi: forse appare sedata perché abbiamo costruito una certa identità realizzata con i nostri lavori, le nostre comodità o i nostri soldi, ma sotto sotto se tocchi un filo strano può scattare all’improvviso la violenza. L’identità è qualcosa che si acquisisce nella società grazie allo sguardo degli altri: loro ti considerano e tu ti senti forte, ti crei una grande identità. Ma in quanti fanno i conti con il proprio vero Io? Soprattutto in questo momento storico, con una forte crisi di valori. 

“Ci è sembrato davvero interessante affrontare i miti e prenderli per mano sul palcoscenico: non per un fatto di stile, ma per necessità”

Alessio Boni

 

 

Italo Calvino sosteneva che un classico non finisce mai di dire quello che ha da dire.

Sì, perché i classici parlano dell’uomo e sono sempre attinenti all’attuale, rimangono sempre là… Dante è intramontabile, le sue immagini dell’Inferno, del Purgatorio e del Paradiso non smettono di parlare a ogni generazione. Allo stesso modo, se leggi un romanzo rosa o, per esempio, un romanzo legato alla vendetta: ritrovi tutto nell’Iliade, parliamo di una pietra miliare della letteratura occidentale. Quello che a noi premeva era riuscire a fare arrivare questo spettacolo a tutti, anche a chi non ha mai letto Omero. Non deve essere una visione elitaria: si tratta di una storia, proprio come quelle che venivano tramandate oralmente dalle balie ai bambini. Omero, che era un genio, ha pensato di scrivere narrando quella storia, in modo da farla arrivare ai posteri. Voleva impartire delle lezioni alle generazioni future: come si cuciva il cuoio, come si limava il bronzo, quanto era importante la pace o avere il coraggio di essere eroi… L’importantissima trama dell’Iliade è stata poi analizzata dai più grandi studiosi, ma il punto di partenza è stato semplicemente quello di raccontare una storia. E io vorrei continuare a fare proprio questo: creare delle favole per il pubblico.

 

Il racconto è l’essenza del teatro…

Il teatro ha la potenza di raccontare delle storie. Bastano una sedia, una sciarpa e un ventilatore e si può anche immaginare un pilota che guida un aeroplano… Questa è la magia del teatro, ed è qualcosa di fantastico. In particolare, l’Iliade ha più strati di lettura: al di là della narrazione, ognuno di noi può rispecchiarsi nella forza o nella ferocia, nei caratteri che vengono descritti. Ci è sembrato davvero interessante affrontare i miti e prenderli per mano sul palcoscenico: non per un fatto di stile, ma per necessità.

Nello spettacolo il gioco è indicativo del rapporto che gli Dei hanno con gli uomini? 

Gli Dei giocano con gli uomini e lo stesso fanno gli uomini nel rapporto con gli Dei. Proprio negli anni in cui Omero scrive la sua opera gli esseri umani cominciano a sviluppare una coscienza, però prima la mente seguiva una logica diversa: si ascoltavano delle voci, che potevano essere sogni o cose dettate dalla fantasia, e si credeva che fosse il volere degli Dei. Sono state create allora le divinità e nessuno si muoveva se non con un sacrificio dedicato a loro, per sapere se andare avanti o no nelle varie vicende dell’esistenza. A seconda di ciò che dicevano l’indovino o il sacerdote, gli uomini agivano, senza un’autocritica. Con Ulisse, Patroclo, Achille o l’inganno del cavallo di Troia, l’uomo prende coscienza di sé e compie delle scelte. Ecco che da allora, fino ad oggi, questi Dei si ritrovano senza essere più su un piedistallo.

 

C’è uno di questi miti che ha sempre preferito? 

Zeus mi è sempre piaciuto moltissimo, è il Re degli Dei. Così come Apollo con la sua poesia, ma anche Poseidone che è il Dio del mare: è lui che fa viaggiare Ulisse senza farlo ritornare subito a Itaca… Ecco, direi che forse questi sono i personaggi che più mi affascinano.

 

 

“Ciò che lega tutto le nostre scelte è sempre una ricerca sulla condizione dell’essere umano”

Alessio Boni

 

 

In generale – che sia televisione, cinema o teatro – che cosa deve avere un progetto per convincerla ad accettare?

Deve esserci qualcosa che scardina la mia interiorità, che arriva alla pancia… Se il progetto mi sembra troppo morbido o che scivola via, se non c’è uno spiazzamento interiore, non mi intriga. Se si parla di temerari – metti Enrico Piaggio che ha reinventato la Vespa nel dopoguerra oppure Puccini con tutte le sue vicissitudini biografiche, degli artisti come Caravaggio e Van Gogh – i personaggi che mi piacciono: queste biografie mi attirano molto, perché fanno parte della fragilità e della bellezza del genere umano. Quelle storie dove c’è un’evoluzione, che partono dalla fogna dell’uomo e arrivano alla sublime poesia: la strada della narrazione non deve essere bella piatta, ma sterrata e piena di buche.