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In cerca di emozioni. Intervista a Ferzan Ozpetek

18 dicembre 2024

di Angela Consagra

Dopo la versione teatrale di Mine vaganti, che cosa l’ha convinta a trasportare ancora sul palcoscenico, tra tutti i suoi film, proprio la storia di Magnifica presenza

Magnifica presenza è un film che già, come storia, si adatta tanto a diventare un’opera teatrale. Quando abbiamo deciso di compiere questa operazione ci siamo trovati di fronte ad alcune difficoltà: io, infatti, volevo adattare la narrazione in un ambiente unico sulla scena. Ma avere dei paletti con cui confrontarsi rende sicuramente più creativi: la recitazione si alterna a dei filmati, l’attore che deve uscire proprio fisicamente dallo spazio si muove tra gli spettatori. Esteticamente il mio obiettivo è stato quello di realizzare qualcosa di molto diverso rispetto al film, cercavo una visione complessiva di forte impatto. Ho cambiato i personaggi, che sul palcoscenico non potevano rimanere identici come al cinema, e lo spettacolo ha preso vita. Questa produzione legata alla versione teatrale di Magnifica presenza è stata molto voluta da Marco Balsamo di Nuovo Teatro e siamo felici, perché lo spettacolo sta andando benissimo.

 

Concentrare una storia sul palcoscenico - un luogo unico, dove tutto avviene - è una sfida rispetto al cinema?

È un aspetto che mi diverte molto: lavori, ma costretto a esprimerti con delle limitazioni.  E la tua immaginazione, in qualche modo, emerge ancora di più. Mi hanno fatto piacere le critiche positive sullo spettacolo, il timore era che qualcuno potesse dire: “Cosa vuole a teatro questo autore che viene dal cinema?” Invece, tutti ci hanno accolto magnificamente… Per quanto riguarda la scelta del cast teatrale devo dire che io amo tutti gli attori, sono bravi. Tre di loro interpretano un doppio personaggio e anche questo è un fattore curioso, molto divertente anche registicamente. È stata una gioia pensare e realizzare la messinscena di Magnifica presenza e questo stato d’animo, così felice, arriva, di rimando, dal palco al pubblico che sta di fronte.

“Vi è un rapporto viscerale tra me e gli attori; l’unica cosa che pretendo è che essi siano naturali”

Ferzan Ozpetek

 

 

Qual è l’elemento più difficile da risolvere, proprio dal punto di vista della regia, nel passaggio tra cinema e teatro: la diversità dello spazio o il rapporto con gli attori che cambia?

Tra opera, teatro e cinema, il rapporto con gli attori cambia sempre poco. L’importante, in ogni caso, è riuscire comunque a tirare fuori dagli attori il loro modo di fare, le sensazioni. Questo è il mio scopo, in tutto quello che faccio. Bisogna tentare di avvicinarsi sulla scena nella stessa maniera con cui viviamo la nostra esistenza, in modo spontaneo: se gli attori si emozionano davvero, allora si emoziona anche il pubblico. Vi è un rapporto viscerale tra me e gli attori; l’unica cosa che pretendo è che essi siano naturali: ho sempre detestato il teatro che si esprime curando perfettamente la dizione, perché credo che si debba parlare sulla scena come si fa nella vita. Se si procede in questa direzione, ecco che si crea un forte effetto sullo spettatore. E sentire che lo spettatore si sente dentro lo spettacolo è fondamentale.

 

Il racconto di Magnifica presenza, già nella sua essenza cinematografica, rappresenta un suo personale omaggio al teatro?

Sì, è un omaggio al teatro, ma soprattutto a tutti quegli esseri umani che non vediamo: i cosiddetti invisibili della nostra realtà. Vorrei avere una vita costellata di fantasmi, magari incontrassi davvero dei fantasmi! A parte i fantasmi che rimangono dentro di noi, ma questo è un altro discorso… Con Magnifica presenza volevo riuscire a dare al pubblico il senso del tempo per immagini, l’esistenza di coloro che sono visibili vicino ai non più visibili. 

Foto Stefania Casellato

La sua poetica personale, un modo estremamente intimo di costruire ogni regia e che caratterizza ogni suo lavoro, in che modo prende forma dentro di sé?

All’inizio di ogni nuova avventura creativa non sai mai esattamente come sarà il risultato finale: si scrive la sceneggiatura e contemporaneamente si arriva a ridosso delle riprese cercando di non condizionare gli attori con tanti ragionamenti preliminari. I sentimenti legati alla storia, a cui l’intera troupe si accinge a dare voce, devono scoppiare in scena. L’emozione è la prima cosa: non solo commuoversi, ma anche ridere. Come regista, è la sensazione dell’ignoto che vado a sperimentare sulla mia pelle, e questo è qualcosa che mi attrae molto. Bisogna scoprire sempre se le famose “fate” arriveranno, se ci regaleranno una magia speciale e l’opera su cui stiamo lavorando quindi vedrà il successo. Le “fate” rappresentano tutte quelle suggestioni benigne intrecciate al buon esito di un lavoro che creano, con la loro positività, un incantesimo che lega per sempre il pubblico alla storia appena raccontata.

 

“Vorrei avere una vita costellata di fantasmi, magari incontrassi davvero dei fantasmi! A parte i fantasmi che rimangono dentro di noi, ma questo è un altro discorso…”

Ferzan Ozpetek