Dopo la versione teatrale di Mine vaganti, che cosa l’ha convinta a trasportare ancora sul palcoscenico, tra tutti i suoi film, proprio la storia di Magnifica presenza?
Magnifica presenza è un film che già, come storia, si adatta tanto a diventare un’opera teatrale. Quando abbiamo deciso di compiere questa operazione ci siamo trovati di fronte ad alcune difficoltà: io, infatti, volevo adattare la narrazione in un ambiente unico sulla scena. Ma avere dei paletti con cui confrontarsi rende sicuramente più creativi: la recitazione si alterna a dei filmati, l’attore che deve uscire proprio fisicamente dallo spazio si muove tra gli spettatori. Esteticamente il mio obiettivo è stato quello di realizzare qualcosa di molto diverso rispetto al film, cercavo una visione complessiva di forte impatto. Ho cambiato i personaggi, che sul palcoscenico non potevano rimanere identici come al cinema, e lo spettacolo ha preso vita. Questa produzione legata alla versione teatrale di Magnifica presenza è stata molto voluta da Marco Balsamo di Nuovo Teatro e siamo felici, perché lo spettacolo sta andando benissimo.
Concentrare una storia sul palcoscenico - un luogo unico, dove tutto avviene - è una sfida rispetto al cinema?
È un aspetto che mi diverte molto: lavori, ma costretto a esprimerti con delle limitazioni. E la tua immaginazione, in qualche modo, emerge ancora di più. Mi hanno fatto piacere le critiche positive sullo spettacolo, il timore era che qualcuno potesse dire: “Cosa vuole a teatro questo autore che viene dal cinema?” Invece, tutti ci hanno accolto magnificamente… Per quanto riguarda la scelta del cast teatrale devo dire che io amo tutti gli attori, sono bravi. Tre di loro interpretano un doppio personaggio e anche questo è un fattore curioso, molto divertente anche registicamente. È stata una gioia pensare e realizzare la messinscena di Magnifica presenza e questo stato d’animo, così felice, arriva, di rimando, dal palco al pubblico che sta di fronte.