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“La Mafia”, una denuncia precisissima delle collusioni tra lo Stato e la criminalità. Intervista a Piero Maccarinelli

29 maggio 2021

Che significato assume, in questo delicato periodo della nostra storia e dopo questi lunghi mesi di pandemia, mettere in scena un testo come La Mafia di Luigi Sturzo?

Si tratta di un teatro civile e politico che, nel nostro Paese, non si mette più molto in scena. Il testo è scritto da Luigi Sturzo – un grandissimo intellettuale italiano di inizio Novecento – e racconta alcune vicende che, se fossero state precedentemente prese in carico dalla politica, non avrebbero portato alla morte di magistrati e giornalisti per colpa della mafia. Lo spettacolo è una denuncia precisissima delle collusioni esistenti tra la mafia e lo Stato: un intreccio politico di cui si è iniziato a parlare nel nostro Paese solamente dagli anni Settanta. Prima la mafia era considerata come un fenomeno locale, che agiva unicamente in Sicilia o tutt’al più in Calabria, ma non era pensata sostanzialmente come un’organizzazione politica, capace di determinare l’elezione di ministri e senatori. Invece, Don Luigi Sturzo aveva ragionato di questo complesso fenomeno, con grande coraggio e lucidità, già all’inizio del secolo scorso. Questa è un’opera caratterizzata da un enorme spessore etico: è uno dei motivi per cui ho deciso di metterla in scena, unitamente alla possibilità di lavorare con un gruppo di attori in grado di assumere la dimensione morale del testo, oltre a quella puramente interpretativa. La Mafia presuppone un percorso comune di denuncia da individuare, non soltanto un’indagine psicologica. Un gruppo di giovani attori, provenienti dal Teatro della Toscana e dall’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, hanno imparato tutto il testo a memoria, solo in un secondo tempo ho attribuito i ruoli seguendo i caratteri di ognuno. Abbiamo cominciato a lavorare su queste dinamiche drammaturgiche di gruppo, con i pochi mezzi a disposizione in questo tempo difficile legato alla pandemia, e cercando così di rendere ricco lo spettacolo attraverso i vari rapporti umani che emergono sulla scena. Il fatto che lo spettacolo sia stato interpretato da dei giovani è un plusvalore, dettato dalla loro testimonianza e inconsapevolezza. Si sono concentrati su fatti che non conoscevano, sulla dimensione storica di quello che dovevano dire in scena e sull’importanza della ricerca del “bene comune”.  Questa riflessione sulla corruzione interpretata da dei giovani riesce a dare proprio l’idea di un tema sociale che non è mai finito… È come se la realtà ciclicamente si ripetesse sempre. La scenografia rossa e nera segue la simbologia dei colori-base del potere: non tanto la cronaca, bensì la politica nera, e il rosso del sangue sparso a dismisura attraverso delitti efferati. Nel dramma, per esempio, l’uccisione di Ambrosetti, l’avvocato che tenta di opporsi alla sindacatura dello spregiudicato commendatore Palica sostenuto dalla malavita, alla fine non avviene in maniera feroce – si compie con l’utilizzo di un sigaro avvelenato per mano di sicari mafiosi – ma è il sangue che si cristallizza eternamente nella narrazione. La Mafia di Luigi Sturzo è rimasto nei cassetti per tantissimi anni, non si trovava il vero finale del testo: negli anni Sessanta l’ha letto Diego Fabbri e ne ha scritto un finale edificante, molto andreottiano, in cui tutto si sistemava. La pièce originale contempla infatti cinque varianti e, dell’ultimo atto, restano solo due scene scritte da Sturzo. Molti si sono interrogati su questa curiosa questione: alcuni sono convinti che sia stato l’autore stesso a distruggere il resto, forse perché era troppo riconoscibile il suo paese, Caltagirone; altri affermano che le scene mancanti sono state sottratte da terze persone, chissà perché… È una faccenda controversa. Dal mio punto di vista registico, ho deciso di condensare tutto in un atto unico e lasciare il finale sospeso, che così diventa ancora più potente: vince il buono o il cattivo? Non ha importanza, ciò che conta è evidenziare la qualità immorale di cui si impossessa la società in maniera subdola, con il predominio dell’affarismo sulla politica. Quella parte del cattolicesimo a cui afferiva Don Sturzo, il cattolicesimo sociale, purtroppo abbiamo imparato che non ha vinto… L’unica simbologia che si ritrova nella messinscena di questo spettacolo è la musica finale, che proviene dal film de Il Gattopardo di Luchino Visconti: come nell’omonimo libro, in cui Giuseppe Tommasi di Lampedusa formula la celebre frase: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Non ci sono altri simboli nella rappresentazione: ho voluto, al contrario, usare una dimensione di crudo realismo. Perché riportare in palcoscenico un testo che si riferisce a un episodio avvenuto a inizio secolo scorso? Anticipa tutto ciò che avviene nella nostra contemporaneità: sono dei processi che abbiamo visto avvicendarsi anche negli ultimi anni.

Foto di scena Tommaso Le Pera

La ripartenza post-Covid deve essere una ripartenza etica?

Assolutamente sì, non vedo altre possibilità… Non dobbiamo più vivere senza etica, è qualcosa di impensabile e insopportabile. Spero anche che, teatralmente, esista un tempo prima e un tempo dopo la pandemia. Io adoro il teatro di evasione, amo il musical, ma auspico che accanto a queste tipologie di teatro vinca anche il pensiero morale, con un po’ più di attenzione per la drammaturgia contemporanea, che nel nostro Paese è sempre stata lasciata nelle retrovie.

 

Dopo mesi di fermo teatrale, che emozione è stata ritornare a sentire l’applauso vivo del pubblico alla fine dello spettacolo?

Un’emozione fortissima, accompagnata da una forte commozione. Dopo un anno e mezzo vivere l’atmosfera che proviene da una sala teatrale, con delle persone vive che applaudono al tuo lavoro, è un sentimento insostituibile. È stato meraviglioso vedere un gruppo teatrale in scena, composto da diversi giovani attori che si sono sostenuti l’un l’altro. Gli è stata richiesta una performance di gruppo e si è creata, sia sul palcoscenico che nella vita di tutti i giorni, una bellissima alchimia collettiva. Non accade sempre e oggi, dopo mesi e mesi di isolamento e solitudine, ciò assume un valore incalcolabile.

Angela Consagra