Vai alla versione visuale Vai al contenuto principale

Per un atlante delle Mappe

03 maggio 2021

Quando abbiamo iniziato a pensare a Mappe di un mondo nuovo lui, il mondo, era diverso: era uno dei molti mondi che si sono avvicendati dall’inizio della pandemia. Era il periodo nel quale s’aggirava il fantasma di una ritrovata normalità; ed era parso logico che nell’ambito dei valori della Carta 18-XXI, questa “chiamata all’impegno” che i nostri amici e partner del Théâtre de la Ville di Parigi avevano diffuso ormai da due anni nei confronti dei giovani ad artisti e personalità della cultura sui temi del sapere, dell’educazione, della scienza e dell’ambiente, si provasse a disegnare con l’aiuto delle citate personalità una immaginaria carta geografica del futuro ad uso e consumo dei figli del millennio – e non solo.

Ovviamente, l’atto del disegnare sarebbe dovuto avvenire in presenza di un uditorio, come segno di un ritorno all’incontro. Purtroppo, il nuovo incalzare del contagio ha rallentato il progetto, senza fermarlo tuttavia: i “nuovi geografi” sono stati chiamati a raccolta per parlare da una tribuna virtuale ma, almeno, in presenza nello stesso luogo da cui l’iniziativa partiva (un’occasione anche per tornare a far vedere l’interno del teatro).

Sono stati convocati cartografi in età ancora verde, e che avessero raggiunto l’eccellenza nel loro campo. Abbiamo parlato della loro formazione, di come fossero arrivati a fare ciò che facevano, delle loro aspettative, dei loro timori, di come immaginavano il futuro prossimo. Con Giacomo Costa abbiamo cercato di capire cosa rende tale un artista, con Alessandro Raveggi come funziona la mente di uno scrittore; con Jacopo Storni quale sia l’importanza al giorno d’oggi di raccontare la realtà su un giornale, con Vera Gheno perché parliamo bene, o male. Con Benedetto Ferrara abbiamo scandagliato cosa significhi ancora il mito dello sport (e non sapevamo ancora della Superlega), a Stefano Mainetti abbiamo chiesto cosa voglia dire aver imparato bene per insegnare e trasmettere. Con Diodato, quali siano i timori e le attese di chi per un anno è stato quasi totalmente privato dell’opportunità di incontrare il suo pubblico. Piano piano la mappa è andata componendosi quasi serendipicamente, fatta di piccoli dettagli, anche preziosi come il dettato che Mainetti bambino faceva seguendo la voce del suo maestro elementare, il grande poeta Giorgio Caproni.

Per sua stessa natura, la carta geografica è già la descrizione di un’attesa, l’ipotesi di un territorio, di un viaggio, di una scoperta. Ne abbiamo disegnata una parzialmente muta, che riporta una parte dei toponimi. Confidiamo nel fatto che i tanti che si sono posti all’ascolto e in visione di ciascun appuntamento possano arrivare a completarla, ognuno la propria, ciascuno per il viaggio che intende intraprendere nella vita che verrà. Non volevamo mettere in gioco alcuno dei tanti cliché che esistono sui “giovani”. Semplicemente, offrire loro un’occasione.

Il ruolo di una mappa è quello di annunciare una prospettiva: non già di garantirla, perché nessuna mappa (tranne quella della celebre utopia di Borges) può sostituirsi al territorio che descrive. Volevamo, nello spirito della Carta, essere latori di una prospettiva, di uno slancio verso il futuro, di una disponibilità a saper ascoltare dopo aver proposto.

È un discorso destinato a proseguire.

 

Riccardo Ventrella