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Un racconto sonoro. Intervista a Teho Teardo / Una metafora dell'Italia. Intervista a Elio Germano

12 dicembre 2023

di Angela Consagra

Un racconto sonoro


Intervista a Teho Teardo

Partendo dal titolo di Pier Paolo Pasolini Il sogno di una cosa: come si realizza questo sogno sulla scena, sia dal punto di vista dell'interpretazione, che musicalmente? 

Siamo partiti dai suoni che, essendo io nativo di quelle zone del Friuli, Casarza, ho recuperato e registrato personalmente. È un racconto sonoro in cui una dozzina di casse disposte circolarmente avvolgeranno il pubblico con suoni registrati nei luoghi narrati nel libro. Il sogno di una cosa rappresenta il tentativo di eternare e salvare in un’opera narrativa usi e costumi delle genti friulane dell’epoca, quasi come un’infanzia del mondo, una sorta di età mitologica. Sul palcoscenico lo spazio che, nel suono, diviene tridimensionale e si fa abitare. La musica si manifesta nel modo in cui guardiamo quei luoghi, tra una sfera privata e una più pubblica, tra interno ed esterno. Le parole li attraversano, proprio come farebbero le cellule con una membrana.

 

Che cosa la attrae di un autore come Pasolini? È difficile trasportare le sue parole sul palcoscenico? 

Questo testo affronta anche le dinamiche della rotta balcanica al contrario, quando eravamo noi a pagare dei passeur per farci attraversare il confine in cerca di felicità, di vita. Un sogno ed un desiderio da esaudire. Persone che, nel secondo dopoguerra, sono scappate dall’Italia attraversando illegalmente il confine per andare in Jugoslavia. Credo che le parole non siano state trasportate: sono venute con noi, con le voci dei protagonisti della vicenda che si racconta.

 

“Due epoche lontane, ma in cui rimangono validi, però, i desideri, il bisogno di felicità, di realizzazione”

Teho Teardo

I giovani descritti da Pasolini, l'amicizia e la loro voglia di cambiare il mondo: in che modo si avvicinano o allontanano dalla realtà che ci circonda e che stiamo vivendo? 

Il 1948 – l’anno in cui è ambientato il racconto – era un altro tempo, oltre che un altro secolo. Due epoche lontane, in cui rimangono validi, però, i desideri, il bisogno di felicità, di realizzazione. Sono i sogni ad essere gli stessi, perché si tratta di desideri fondamentali, come i colori primari che accolgono via via le sfumature, pur rimanendo se stessi nel corso dei secoli.

 

Come l'Italia raccontata da Pasolini può parlare all'Italia di oggi?

Forse parliamo sempre troppo… Forse, soltanto semplicemente ascoltando quelle voci che hanno viaggiato nel tempo per arrivare fin qui, possiamo arrivare a comprendere qualcosa... In fondo, quei suoni, che appartengono alla nostra memoria, è come se fossero sempre stati in circolo.

 

“In fondo, quei suoni, che appartengono alla nostra memoria, è come se fossero sempre stati in circolo”

Teho Teardo

 

 

UNA METAFORA DELL’ITALIA

 

Intervista a Elio Germano

Partendo dal titolo di Pasolini Il sogno di una cosa: come si realizza questo sogno sulla scena, sia dal punto di vista dell'interpretazione, che musicalmente? 

Per me il teatro è sempre qualcosa di magico, una zona della meraviglia che si costruisce sul palcoscenico. In questo caso particolare - dai nobili ideali e dalla voglia di cambiare il mondo - questi tre ragazzi protagonisti de Il sogno di una cosa, grazie anche al cambiamento innescato dal boom economico, approdano a un mondo nuovo in cui prevale il tornaconto personale: è una metafora per raccontare l’Italia e, al tempo stesso, una parabola dello scorrere della vita umana.

“È una metafora per raccontare l’Italia e, al tempo stesso, una parabola dello scorrere della vita umana”

Elio Germano

 

E per quanto riguarda il suo mestiere di attore: tra teatro e cinema, quali sono le differenze, sotto il profilo della preparazione?

Io dico sempre che teatro e cinema sono due cose che partono diverse, ma poi sono uguali. Durante una rappresentazione l’attore compie un movimento in costruzione, con coscienza e consapevolezza guida lo spettacolo in una certa direzione, ne tiene le redini, mentre in un film deve essere completamente disponibile alle esigenze del regista, del montatore, del direttore della fotografia: sono gli altri a governare le immagini. L’aspetto che accomuna il cinema con il teatro è che entrambi partono dalla stessa esigenza, quella di tentare di ricomporre ciò che accade in quel dato momento all’interno dell’attore. Si vive una condizione di abbandono in entrambi i casi: in teatro il corpo agisce automaticamente, mentre al cinema l’abbandono è forse meno fisico, legato a dinamiche più intime ed emotive. Non esiste un modo solo di fare l’attore: il modo migliore è di essere più liberi possibile in scena. Fondamentale è riuscire comunque a dare qualcosa agli altri, donare un’emozione allo spettatore raccontando qualcosa. Il nostro è un mestiere in cui l’oggetto del lavoro va ritrovato all’interno del proprio corpo, ognuno dentro se stessi. È questa tensione profonda che io cerco sempre di inseguire.

 

“Per me il teatro è sempre qualcosa di magico, una zona della meraviglia che si costruisce sul palcoscenico”

Elio Germano