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Una chiarezza dei pensieri. Intervista a Toni Servillo

05 dicembre 2024

di Angela Consagra

Per questo viaggio teatrale nel pensiero e nella letteratura occidentale costruito con lo scrittore Giuseppe Montesano, fondamentale è l’interpretazione delle parole dette sul palcoscenico: si crea un forte scambio emotivo insieme agli spettatori, sera per sera. Dal punto di vista attoriale come si riesce ad arrivare a questa alchimia sempre unica, che unisce l’interprete al suo pubblico?

Attraverso l’essenzialità dello spazio scenico e la nudità della parola poetica che sono, per me, condizioni fondamentali per la chiarezza con cui mi piace arrivare al pubblico in maniera diretta. Ritengo che l’unico futuro per il teatro sia quello più antico: mettere al proprio centro l’essere umano.

 

Per un attore è più difficile cercare di arrivare al pubblico attraverso le parole degli autori nella sua essenzialità, senza il filtro del personaggio da interpretare? 

Sono difficoltà di carattere diverso, però entrambe sempre estremamente impegnative. La scelta di e come affrontarle spetta unicamente all’interprete, che sta sul palcoscenico. Dal punto di vista della riflessione sullo spazio scenico ho privilegiato sempre l’essenzialità che mette in primo piano il lavoro dell’attore, in modo che lo spettatore possa intuirne la scandalosa presenza fisica… Un attore è un interprete in atto, lavora dentro il testo e traduce fisicamente lo schema drammaturgico in una dimensione assembleare.

 

A Firenze ci ricordiamo di Elvira, che si soffermava sul nucleo di sette lezioni tenute al Conservatoire National d’Art Dramatique da Luois Jouvet e che focalizzava l’attenzione su Claudia, allieva del III anno, colta durante la delicata fase delle prove insieme al suo Maestro/regista, da Lei interpretato. Al di là della collaborazione con Giuseppe Montesano (che era il traduttore di Elvira), c’è un filo che, in qualche modo, lega la scelta di Tre modi per non morire con questo suo precedente spettacolo? 

Direi proprio di sì. Il filo che intreccia quelle parole di Jouvet con i testi di Tre modi per non morire è l’occasione, attraverso il teatro, di riflettere su una condizione che ci unisce tutti, legata al presente più vivo, e come antidoto ai nostri tempi frettolosi. Il teatro è un lugo in cui pubblico e attori si rispecchiano per porsi delle domande, riflettere sul proprio destino e cercare un orientamento nella vita.

“Ritengo che l’unico futuro per il teatro sia quello più antico: mettere al proprio centro l’essere umano”

Toni Servillo

 

 

In Tre modi per non morire la parola in scena viene accompagnata dalla luce e dal colore, che sottolineano progressivamente ogni concetto. Tutto contribuisce alla costruzione e alla trasmissione dell’emozione?

Certamente ogni componente presente in scena contribuisce a questa direzione verso il sentimento, ma con la viva intenzione, lo sforzo e l’obiettivo che l’emozione sostenga sempre la chiarezza dei pensieri.

 

Da dove nasce la sua fascinazione proprio per questi autori: Baudelaire, Dante e i classici Greci? Perché l’urgenza, l’intima necessità, di tradurli sulla scena?

Questi tre importanti momenti della poesia e del pensiero occidentale, che nel corso della serata attraversiamo a ritroso - dall’Ottocento ribelle di Baudelaire fino alla civiltà fondativa dei Greci di oltre venticinque secoli fa, per passare attraverso il Medioevo aperto al mondo di Dante - sono legati dalla capacità di sapere, dal passato, parlare a noi, ancora oggi, attraversando ogni epoca.

La bellezza e la poesia, e quindi il rito del teatro, salveranno il mondo? E, più in particolare, essere attori e scegliere di diventarlo: cosa significa davvero?

Non è una domanda facile a cui rispondere in poche battute, ma certamente direi che oggi più che mai ciò significa testimoniare una condizione umana. La sfida è quella di verificarne nel presente la tenuta, tentando di non dimenticarne mai il significato.

 

Ha detto di provenire da una famiglia di spettatori, i suoi genitori erano grandi appassionati di teatro e di cinema… Sul palcoscenico si avverte sempre una responsabilità nei confronti di chi guarda la rappresentazione? Il pubblico: che cos’è per Lei? Una sua definizione. 

Per rispondere a questa domanda, prendo in prestito una definizione del pubblico data da Luigi Pirandello: “il pubblico è la visione di chi assiste, che rientra nel procedimento drammaturgico generale che rappresenta il teatro in atto”. E io credo che il tempo che si trascorre in palcoscenico, a confronto con il pubblico, serva sempre a migliorarci. È in questo scambio continuo, spettatori-attori, che si raffina e decanta l’esercizio quotidiano dell’arte della recitazione.

 

Per Eduardo De Filippo, “la tradizione è la vita che continua”. In che modo questi testi che oggi propone sulla scena possono ancora parlare agli spettatori, di ogni generazione, anche le più giovani?  

Eduardo è il più straordinario e, forse, l’ultimo rappresentante di una drammaturgia contemporanea popolare, l’autore italiano che con maggior efficacia, all’interno del suo meccanismo drammaturgico, favorisce l’incontro e non la separazione tra testo e messa in scena. In particolare, quello che lega intimamente gli autori di Tre modi per non morire è una loro immutata capacità: mantengono dal passato l’abilità di divinare un futuro, che diventa poi il presente nel quale siamo ancora oggi. L’intenzione di Giuseppe Montesano da autore e mia da interprete è di voler rivolgerci specialmente alle giovani generazioni: è l’opportunità per riflettere, insieme, su questo fondamentale argomento.