Una comunicazione universale. Intervista a Isabella Rossellini
22 gennaio 2024
di Angela Consagra
Come nasce l’idea di questo spettacolo, Darwin’s Smile?
Nel 2015 a Parigi era stata allestita una mostra su Darwin e l’evoluzione: in quell’occasione mi era stato chiesto di tenere una conferenza, di carattere comico, relativamente a questi argomenti. Così avevo scritto due testi: L’emicrania di Darwin e Il Sorriso di Darwin. Darwin sosteneva, infatti, che guardare la coda di un pavone potesse fare venire l’emicrania: non riusciva a spiegare questa curva meravigliosa che fa parte del corpo del pavone facendo riferimento puramente alla tesi della selezione naturale. Darwin aveva aggiunto alle sue teorie un altro tipo di selezione, quella sessuale: è questo tipo di tensione emotiva che ci spinge a cantare o ballare, con lo scopo di riuscire a sedurre gli altri. In particolare, Il Sorriso di Darwin è basato sul suo libro Le espressioni delle emozioni nell’uomo e negli animali: è un’opera non molto conosciuta, in cui Darwin si interroga sulla gestualità degli esseri umani. Con un sorriso so di essere compreso in tutto il mondo, mentre alcune espressioni sono culturali e appartengono alla diversità dei popoli. Possono questi gesti essere frutto dell’evoluzione? Per esempio, tremare quando si ha paura o urlare per esprimere uno stato d’animo... È stata Murielle Mayette-Holtz , direttrice del Teatro Nazionale di Nizza, a propormi di mettere insieme i testi di queste due conferenze per realizzare uno spettacolo: abbiamo debuttato proprio a Nizza, con la regia di Murielle.
Il sorriso è qualcosa che comprendono tutti gli esseri umani, ma gli animali non hanno il sorriso?
Hanno un sorriso diverso… Darwin si domandava: quando i cani piegano le orecchie e tirano il muso, quello è un sorriso? Gli animali hanno meno muscoli facciali rispetto agli esseri umani, ma Darwin era sicuro, per esempio, che le scimmie ridessero, perché si era accorto che in loro si verificava la stessa interruzione del respiro che noi abbiamo quando ridiamo di qualcosa. Darwin pensava che la risata avesse in sé un elemento ancestrale, qualcosa che l’uomo ha in comune con le scimmie. Aveva identificato alcune espressioni che pensava avessimo tutti. Come il sorriso, appunto: anche se non si percepisce nello stesso modo, ad esempio gli animali abbassano le orecchie o muovono la coda. Io vivo in una fattoria e voglio ricordare un episodio che è accaduto: un giorno, tutto ad un tratto, ho visto le galline correre insieme e mettersi al riparo, perché hanno sentito dei corvi che davano l’allarme per l’arrivo di un falco. Questa è una prova, in qualche modo, che gli animali si parlano e comunicano tra di loro. Mi sono sempre piaciuti gli animali, fino da quando ero piccola. A 14 anni mio padre mi regalò un libro dal titolo L’anello di Re Salomone, di Konrad Lorenz, il fondatore dell’etologia: mi disse che mi sarebbe piaciuto sicuramente. Per me fu una rivelazione: volevo assolutamente da grande diventare un’etologa, ma si tratta di una scienza molto moderna e all’epoca all’università questi studi non c’erano. Quando ho compiuto 50 anni, sono tornata all’università e finalmente e ho seguito un master in etologia, quindi adesso io sono un’etologa.
“Da autrice, la scrittura è sempre qualcosa di piacevole: prima di tutto devo far ridere me stessa. Scrivere in un’atmosfera di buonumore è la cosa più importante.”
Isabella Rossellini
Il sentimento dell’empatia, su cui è incentrato il tema di Darwin’s Smile, è necessariamente anche alla base della recitazione?
Lo spettacolo è frutto dell’empatia. Noi attori manipoliamo l’empatia: infatti, io dico sempre che “essere attori non è solo agire, ma anche reagire”. A scuola di recitazione la prima cosa che ti insegnano è di ascoltare e di recitare con l’altro. La recitazione non è frutto soltanto delle parole che pronunci, ma è il risultato del contatto che instauri con il partner davanti a te. Invece all’università, per esempio, forse per cercare un rigore scientifico, mi sembrava che l’empatia fosse messa da parte: gli scienziati non facevano amicizia con i topi che studiavano. Il mio approccio da attrice, al contrario, mi faceva pensare che l’empatia fosse essenziale per la comunicazione con gli animali: se si toglie l’empatia si compromette lo studio dell’espressione delle emozioni e si può rischiare di dire che gli animali non comunicano. Anche una mamma che si relaziona con il suo bambino usa l’empatia, perché il bambino ancora non parla, ma se la mamma gli sorride lui reagisce. Se non usiamo l’empatia anche con gli animali, come possiamo capirli? Secondo me è più valido il rapporto che noi costruiamo con i nostri cani e gatti, rispetto anche a certi studi fatti in un laboratorio.
Da interprete teatrale, come vive il palcoscenico?
Darwin’s Smile è un monologo scritto in tre lingue, per cui a volte mi vengono fuori in scena dei termini stranieri: questa è una difficoltà che cerco di superare. Il palcoscenico fa paura, è come camminare su una corda in equilibrio. C’è il contatto con il pubblico, ed è una cosa molto bella, ma allo stesso tempo la tensione non ti abbandona mai. Ricordo che per il primo monologo della mia vita persi la voce: l’avevo scritto insieme a Jean-Claude Carrière, il grande scrittore, e pensavo davvero di non farcela ad arrivare sul palcoscenico. Invece, Jean-Claude è salito sul palco e ha detto al pubblico: “Signore e signori, Isabella ha perso la voce. Potreste guardare sotto le sedie o nelle vostre borse, se per caso la trovate?”. Ecco, queste sue parole rivolte agli spettatori mi hanno fatto così ridere che, rilassandomi, la voce mi è tornata e sono riuscita ad andare in scena!
Il registro del comico è predominante nel suo lavoro a teatro?
Ho cominciato a scrivere dei corti per il cinema, circa quindici anni fa. Robert Redford pensava che con l’avvento di YouTube si potessero riproporre dei film corti, scardinando il format della durata della TV, che si svolgeva sempre tra i trenta minuti e le due ore. Lui era felicissimo, perché prendeva ad esempio i film corti del cinema muto, che lui adorava. Robert mi ha commissionato una serie di corti: Green Porno, Seduce Me, Mammas, per un totale di quaranta film. Aveva visto il film che avevo realizzato su mio padre, Mio padre ha 100 anni, della durata di 20 minuti: ne era rimasto entusiasta, così ha voluto che mi occupassi della regia di questi altri corti. Sono stati girati tutti in chiave comica e hanno avuto molto successo. Per lo spettacolo teatrale ho ritrovato quello stesso tono che era emerso nella scrittura per il cinema. Da autrice, la scrittura è sempre qualcosa di piacevole: prima di tutto devo far ridere me stessa. Scrivere in un’atmosfera di buonumore è la cosa più importante.
“Il palcoscenico fa paura, è come camminare su una corda in equilibrio. C’è il contatto con il pubblico, ed è una cosa molto bella, ma allo stesso tempo la tensione non ti abbandona mai”
Isabella Rossellini