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Un'avventura che si rinnova. Intervista ad Andrée Ruth Shammah

18 febbraio 2025

di Angela Consagra

In questa sua regia, in cui si mette in scena il testo di Joseph Roth, dirige un Maestro come Carlo Cecchi.

Carlo Cecchi è veramente “un attore assoluto”, per citare la definizione che è stata data di lui dalla critica di Napoli. Anche solo quando inizia a parlare, si intuisce subito che ci troviamo di fronte a un interprete capace di trasmettere autorevolezza, musicalità, precisione e in grado di sperimentare anche un’altissima dose di invenzione sulla scena. Tutto ciò si raggiunge soltanto con anni di esperienza, attraverso delle grandi avventure teatrali, ma anche seguendo certe coerenze volte a costruire il mestiere. Cecchi ha sempre recitato incarnando un’idea di teatro, quella che fosse più congeniale per il suo modo di intendere il palcoscenico: si va da Eduardo De Filippo a Pirandello, ma con un personale e assolutamente originale modo di vivere la scena. Molti attori ne imitano la recitazione, ed è facile da questo punto di vista individuare quelli che sono stati i suoi allievi: Carlo Cecchi possiede proprio un modo unico e riconoscibile di comunicare con il pubblico. 

 

E, in particolare, La leggenda del santo bevitore in che modo sviluppa la stretta collaborazione che, da sempre, ha con Carlo Cecchi?

Cecchi è stato presente sempre, fin dalla nascita del nostro teatro, a Milano: quasi tutti i suoi spettacoli sono stati in scena da noi. Alcuni anche in occasioni significative, come la riapertura del teatro. Adesso è il terzo anno che portiamo in tournée questo spettacolo: la nostra è un’avventura che si rinnova. La leggenda del santo bevitore si avvale della geniale presenza scenica di Carlo Cecchi per rendere omaggio al grande scrittore Joseph Roth, autore di questa novella. La leggenda del santo bevitore è un racconto autobiografico pubblicato postumo nel 1939. Si dice che Roth sia morto poco dopo essere uscito da un bistrot, dopo avere ultimato di scrivere proprio questa storia. Si affaccia nella narrazione tutta la straziante dispersione della vita di Roth e, soprattutto, dei suoi ultimi anni a Parigi, quando riusciva a raggiungere una suprema e ultima lucidità nell’alcol. E, infatti, sulla scena io immagino che Roth, grande bevitore, si trovi in un caffè parigino insieme a un cameriere. In quegli anni tanti camerieri erano al tempo stesso degli intellettuali, delle persone di grande cultura, e così Roth gli legge il racconto appena terminato dal titolo, appunto, La leggenda del santo bevitore. E lui ogni tanto commenta la scrittura di Roth: queste note si ritroveranno nell’edizione Adelphi del libro.

“Carlo Cecchi è un interprete capace di trasmettere autorevolezza, musicalità, precisione e in grado di sperimentare anche un’altissima dose di invenzione sulla scena. Tutto ciò si raggiunge solo con l’esperienza e seguendo certe coerenze volte a costruire il mestiere”

 

Immagino che una ragazza trovi il racconto su una sedia, lo prenda e ogni tanto lo legga. Comincia la storia con questa ragazza che legge oggi La leggenda del santo bevitore e del suo protagonista, il vagabondo Andreas: durante la sua lettura il pubblico può vedere sulla scena apparire Roth, che sosta in quel bar di Parigi in cui sta finendo di scrivere la novella e la legge al suo amico cameriere. Il pubblico vede un autore che legge ciò che ha scritto e che diventa, in qualche modo, quello stesso personaggio che racconta. Sono tre piani di lettura: quello della ragazza, quello dell’attore sulla scena, che è anche l’autore. L’idea è di identificare il personaggio con il suo autore. Carlo Cecchi si trova nel bivalente ruolo di narratore e narrato allo stesso tempo e nello stesso spazio. Si passa dalla terza persona, che sarebbe l’autore, alla prima, cioè al personaggio che Roth descrive. In generale le immagini dello spettacolo sono molto belle, l’allestimento è davvero curato; l’ambientazione di questo caffè parigino è toccante: quando l’autore parla, per esempio, di pioggia è come se la pioggia passasse dalla finestra e attraversasse tutta la stanza. Prendono vita i ricordi del protagonista: lui beve e ogni tanto la mente vaga al passato, a quando stava bene o era giovane… La scena utilizza anche delle proiezioni evocative che contribuiscono a definire non solo lo spazio del caffè in cui si svolge l’azione, ma anche gli stati d’animo del protagonista. Abbiamo sperimentato per lungo tempo questa scena e adesso è perfetta. Si ascolta la storia di questo essere umano: tutto è semplice, ma estremamente efficace.

Se dovesse dire che cosa la spinge, ancora e sempre, a intraprendere una nuova sfida? A quale parola si affiderebbe?

Direi presente, nel senso che il consenso degli artisti deve essere sempre presente. Come direttrice artistica del Teatro Franco Parenti cerco di capire le varie questioni ed esigenze degli attori e dei registi con cui condividiamo il lavoro, li interpello spesso, ma puntando a escludere quella che può manifestarsi come una semplice esibizione di bravura. Il pensiero costante è rivolto sempre al pubblico che si trova in sala. Dal risultato delle esperienze che proponiamo, dai testi che vengono scelti, mi accorgo che il rapporto con gli spettatori è forte. Tutti gli spettacoli che produciamo - da quelli di Filippo Timi a La Maria Brasca di Testori con Marina Rocco e a messinscene più classiche – creano una fiducia da parte degli spettatori. Del resto, io dico sempre che gli attori possono paragonarsi a dei funamboli che camminano sul filo: se il pubblico ne avverte la fatica o la distanza significa che stanno cadendo. Occorre invece muoversi con leggerezza perché tutto appaia facile; eppure, quante ore e ore di duro lavoro per non cadere e provocarsi delle ferite che, anche se non si vedono, sono talmente profonde…  L’intesa con il pubblico è fondamentale, il nostro è uno scambio di amore.

Francesco Bozzo