In questa sua regia, in cui si mette in scena il testo di Joseph Roth, dirige un Maestro come Carlo Cecchi.
Carlo Cecchi è veramente “un attore assoluto”, per citare la definizione che è stata data di lui dalla critica di Napoli. Anche solo quando inizia a parlare, si intuisce subito che ci troviamo di fronte a un interprete capace di trasmettere autorevolezza, musicalità, precisione e in grado di sperimentare anche un’altissima dose di invenzione sulla scena. Tutto ciò si raggiunge soltanto con anni di esperienza, attraverso delle grandi avventure teatrali, ma anche seguendo certe coerenze volte a costruire il mestiere. Cecchi ha sempre recitato incarnando un’idea di teatro, quella che fosse più congeniale per il suo modo di intendere il palcoscenico: si va da Eduardo De Filippo a Pirandello, ma con un personale e assolutamente originale modo di vivere la scena. Molti attori ne imitano la recitazione, ed è facile da questo punto di vista individuare quelli che sono stati i suoi allievi: Carlo Cecchi possiede proprio un modo unico e riconoscibile di comunicare con il pubblico.
E, in particolare, La leggenda del santo bevitore in che modo sviluppa la stretta collaborazione che, da sempre, ha con Carlo Cecchi?
Cecchi è stato presente sempre, fin dalla nascita del nostro teatro, a Milano: quasi tutti i suoi spettacoli sono stati in scena da noi. Alcuni anche in occasioni significative, come la riapertura del teatro. Adesso è il terzo anno che portiamo in tournée questo spettacolo: la nostra è un’avventura che si rinnova. La leggenda del santo bevitore si avvale della geniale presenza scenica di Carlo Cecchi per rendere omaggio al grande scrittore Joseph Roth, autore di questa novella. La leggenda del santo bevitore è un racconto autobiografico pubblicato postumo nel 1939. Si dice che Roth sia morto poco dopo essere uscito da un bistrot, dopo avere ultimato di scrivere proprio questa storia. Si affaccia nella narrazione tutta la straziante dispersione della vita di Roth e, soprattutto, dei suoi ultimi anni a Parigi, quando riusciva a raggiungere una suprema e ultima lucidità nell’alcol. E, infatti, sulla scena io immagino che Roth, grande bevitore, si trovi in un caffè parigino insieme a un cameriere. In quegli anni tanti camerieri erano al tempo stesso degli intellettuali, delle persone di grande cultura, e così Roth gli legge il racconto appena terminato dal titolo, appunto, La leggenda del santo bevitore. E lui ogni tanto commenta la scrittura di Roth: queste note si ritroveranno nell’edizione Adelphi del libro.