Un’umanità contemporanea. Intervista a Fausto Paravidino
04 giugno 2024
di Angela Consagra
Partiamo dal titolo: Tagli…
Questo titolo deriva dal fatto che, tra le tante vicende che presentiamo sulla scena, c’è la storia di un ragazzo che si provoca dei tagli. Non è che ci si soffermi particolarmente sul cutting in quanto tale: l’azione è simbolica. Un giovane ha somatizzato, attraverso questo gesto violento verso se stesso, alcune patologie del suo tempo. Però, nonostante questo particolare punto di partenza, lo spettacolo è divertente, è piuttosto una commedia. Il testo è stato scritto per questi quattordici attori de L’Oltrarno: ci sono tanti racconti che si intrecciano. Sul palcoscenico questi esseri umani producono una storia: ciascuno di loro è una storia.
Che umanità è quella che viene fuori da questi racconti?
Un’umanità contemporanea. La mia ricerca si è concentrata sull’analisi, non tanto del teatro contemporaneo, quanto della realtà in cui viviamo: chi siamo noi adesso? È da tempo che mi sono ritrovato a pensare: se noi dovessimo scrivere un romanzo storico del tempo in cui viviamo, intrecciando la storia con la Esse maiuscola con le nostre storie più intime e quotidiane – l’arte, più o meno, mira proprio a questo tipo di ricerca – ecco che ci accorgeremmo di non sapere da dove cominciare. Se ci interroghiamo, invece, sul passato, anche piuttosto recente: cosa è successo tra gli anni ’30 e ’50? Facile rispondere. E tra il ’50 e il ’70? C’è stato il ’68, il divorzio, l’aborto… Insomma, siamo in grado di descrivere in che modo la società, in quelle fasi storiche, sia cambiata radicalmente. Mi rendo conto che, fino a vent’anni fa, le relazioni sociali si poggiavano su delle basi estremamente diverse rispetto alla realtà che ci circonda. Il romanzo storico dei giorni nostri è, invece, complesso da individuare: tra il 2004 e il 2024 si confondono gli avvenimenti, è un tempo troppo vicino per noi? L’ultimo film di Matteo Garrone Io Capitano, per esempio, incarna in sé tutte le caratteristiche del vero romanzo di avventura, quello classico, alla Stevenson per intendersi. Racconta la vita dei ventenni che partono dall’Africa per cercare fortuna nel nostro Paese: questo, però, non è il nostro romanzo storico, è il loro. E noi, al contrario, quale posizione prendiamo rispetto alla Storia? Mi sono interrogato su queste tematiche insieme ai ragazzi con cui condivido il progetto di Tagli e ho chiesto: noi chi siamo? Qual è adesso lo spirito del nostro tempo? Oggi, la nostra umanità, com’è fatta? Dove stiamo andando e quali sono le nostre aspirazioni?
“Il teatro parla ad una comunità e, così facendo, la costruisce: è la comunità che diventa responsabile dello spettacolo a cui sta assistendo.”
Fausto Paravidino
Sono tutti molto giovani per ragionare sui fatti degli ultimi vent’anni, ma abbiamo cercato di individuare e descrivere il senso del nostro comune sentire. Varie cose sono emerse: siamo nell’età dell’impotenza. Ciò che ci sta più a cuore è la situazione a Gaza, la volontà imprescindibile di fermare lo sterminio, oltre alle problematiche del riscaldamento globale e la guerra in Ucraina. Ma noi cosa possiamo fare concretamente per cambiare lo stato delle cose? Scriviamo dei post su facebook e instagram per sottolineare che siamo indignati? Ora è mutato il mondo: viviamo una forte sensazione di impotenza che, forse, corrisponde alla verità oppure è semplicemente un nostro stato d’animo. Evidentemente proviamo un senso di colpa devastante, perché non riusciamo a risolvere quelle storture di cui ci importa moltissimo. Viviamo in un’epoca di sentimenti, anziché di azione, e in questa condizione cerchiamo di convivere con l’impotenza, sopportando il nostro senso di colpa. Abbiamo la percezione di non potere cambiare nulla, per cui ci sembra che il nostro vivere sia, piuttosto, un sopravvivere in delle condizioni relativamente agevoli: alla fine dei conti noi non abbiamo a che fare con il dramma, ma con il fastidio.
Lo spunto per le storie cha ha scritto è, dunque, l’attualità?
Non l’attualità, che mi annoia a morte, ma la contemporaneità: è il racconto del sentire di questo gruppo di persone, i giovani attori de L’Oltrarno. Io ho inventato le diverse storie, anche se con i ragazzi abbiamo portato avanti un discorso tematico riguardo a quali sono oggi le nostre aspirazioni e i nostri desideri. Com’è fatto questo mondo che dovremmo rappresentare a teatro e che ancora non lo vediamo raffigurato, quali sono i confini della nostra realtà: sono queste le domande su cui abbiamo riflettuto. Avevamo già lavorato insieme su Eschilo e partendo, quindi, da un’opera che appartiene agli inizi della storia del teatro: in questo caso, invece, abbiamo affrontato un testo che ancora non era stato neanche scritto. Siamo ripartiti dalla fine.
Il registro della commedia aiuta a comprendere la contemporaneità?
Speriamo. È una forma di uscita dall’apatia, perché dalla condizione dell’apatia possiamo tirarcene fuori solo con il sentire. Quando un fatto ci fa ridere dà una scossa alla nostra coscienza: è una piccola stimolazione, ma avvertiamo una intima vibrazione. Lo stesso vale per il pianto, che ci mette di fronte a ciò che siamo.
Se dovesse dire che cos’è per Lei il teatro, come lo descriverebbe?
Un luogo, dove una comunità si ritrova intorno ad una storia. Attraverso la partecipazione a quella storia e al fare un’esperienza collettiva si crea una comunità, che diventa poi la società in cui viviamo. Il teatro parla ad una comunità e, così facendo, la costruisce: è la comunità che diventa responsabile dello spettacolo a cui sta assistendo, scegliendo, come gli attori, in che modo modificarlo.
“Com’è fatto questo mondo che dovremmo rappresentare a teatro e che ancora non lo vediamo raffigurato, quali sono i confini della nostra realtà: sono queste le domande su cui abbiamo riflettuto.”
Fausto Paravidino